martedì 24 dicembre 2013

Tancredi di Gioacchino Rossini

Tancredi, Teatro Sociale di Como, 8 dicembre 2013
TancrediTeresa Iervolino
AmeneideSofia Mchedlishvili
ArgirioMert Süngü
OrbazzanoAlessandro Spina
Direttore Francesco Cilluffo
Regia e sceneFrancesco Frongia
Costumi Andrea Serafino


Con tutto quello che mi è successo quest'anno, soprattutto per la totale precarietà della mia situazione questa estate, ho dovuto rinunciare all'abbonamento a teatro, snif! :( Ma appena ho potuto ho comprato i biglietti per le ultime due opere in programma ed eccomi qui a fare un piccolo resoconto del Tancredi di Rossini, che fu scritto proprio sulle rive del Lago. Un'opera che non conoscevo, che di certo non può fregiarsi del titolo di capolavoro rossiniano, ma molto piacevole. Da spettatrice neofita e superficiale non saprei giudicare con sicumera direzione e orchestra, devo ammettere che neanche me le ricordo molto bene (non perchè siano passate un paio di settimane, non avrei saputo dire neanche il giorno dopo). L'unico pezzo che in qualche modo ha lasciato il segno è stato il duetto fra le due protagoniste nel primo atto, L'aura che intorno spiri, toccante e virtuoso così come mi aspetto da Rossini

Immagine rubata dalla pagina Facebook del Teatro



L'allestimento che ho visto a Como ambientava la vicenda nell'estate del 1943. Come faccio ad essere così precisa? ma perchè alla fine dell'opera, nella bella terra di Sicilia, sbarcano gli Alleati! Idea che a me è piaciuta molto: il sipario si apre sulla piazza del paese che si sta preparando alla festa; divisi in due gruppi da una parte i contadini, il popolo di Argirio, dall'altra dei mafiosi armati fino ai denti, sodali di Orbazzano, gerarca fascista. La festa stessa è ravvivata da abiti tradizionali e dai tipici archi di luce delle feste paesane meridionali. Quando Ameneide viene condannata a morte è scortata da dei carabinieri e quando canta Giusto Dio, che umile adoro le viene incontro la processione di una Madonnina. Infine, come detto, l'esercito che Tancredi guida alla vittoria è proprio quello degli Alleati. Anche il carattere di Ameneide è più moderno rispetto alla tipica eroina ottocentesca, umile e ubbidiente: costretta a subire gli eventi si, ma che combatte fino all'ultimo; sceglie il martirio piuttosto che il tradimento, ma con "virile" fierezza. E sapete una cosa? Tutto questo funziona! Non distorce per niente l'opera come concepita da Rossini e librettisti, semplicemente, la modernizza. Altro che Tcherniakov, qui Frongia è riuscito con molto poco a rendere più attuale un'opera scritta due secoli fa e ambientata un millennio di anni orsono...

Immagine rubata dalla pagina Facebook del Teatro


Più volte durante l'opera vengono mostrati riferimenti visivi al teatro dei pupi, sia con pannelli artistici sia con il trucco dei protagonisti, che avevano i tipici guanciotti tondi e rosa da burattino. Durante la morte di Tancredi cala il sipario alle spalle dei Nostri, sipario che sembra proprio la versione gigante di quelli del teatro dei pupi e che guarda caso racconta la tragica storia di Tancredi e Ameneide. Bella idea!
Bravi gli interpreti. L'ultima volta che ho visto Rossini al Sociale di Como i cantanti rischiavano l'asfissia ogni due brani. Va bene, erano tutti giovani, l'Italiana in Algeri è difficilissima, quindi li si perdonava, ma ho davvero temuto che anche qui mancasse il fiato. Niente di tutto questo, brave soprattutto le due interpreti principali, Sofia Mchedlishvili (Ameneide) applauditissima e dagli acuti perforanti e Teresa Iervolino (Tancredi) che forse non è stata sempre all'apice ma mi è piaciuta molto. 

E ora avanti il prossimo.

lunedì 2 dicembre 2013

Nel giorno in cui novant'anni fa nasceva la divina Callas scopro che la scimmietta che porto in grembo è una femmina. Adesso è proprio doveroso chiamarla Aida. :)

giovedì 28 novembre 2013

Avrò dunque sognato!

Rigoletto, Carlo Felice, 24 novembre 2013
RigolettoCarlos Almaguer
Gilda Cinzia Forte
Duca di Mantova Shalva Mukeria
Sparafucile Gianluca Buratto
Maddalena Nino Surguladze
Il Conte di Monterone Seung Pil Choi
Marullo Claudio Ottino
Borsa Enrico Salsi
Il Conte di Ceprano Alessio Bianchini
Direttore Fabio Luisi
Regia Rolando Panerai
Scene Enrico Musenich
Costumi Regina Schrecker
Allestimento Fondazione Carlo Felice


Bello, bello, bello! Ho scelto di andare a vedere il Rigoletto perchè volevo portarci i miei, che avevo già trascinato a vedere la Traviata; non essendo propriamente dei melomani, mi piaceva continuare con la trilogia verdiana, che in quanto a pop, si va alle stelle. Insomma, scelto per futili motivi, senza nemmeno spulciare interpreti e cast, ma quanta soddisfazione!

Intanto: Carlos Almaguer. Nonostante la mia propensione (o perversione?) a smaniare per voci baritonali proprio come la sua, mi era completamente sconosciuto. Ovvio che sono stata ben felice di colmare la lacuna. Il suo è stato davvero un buon Rigoletto: un bel vocione potente che però sapeva adattarsi a sfumature più drammatiche.
Conoscevo invece Cinzia Forte, ma non l'avevo mai vista dal vivo, quindi gran bella sorpresa vederla fra il cast. Brava. I duetti fra lei e Almaguer non deludevano le aspettattive, strappa-applausi assicurati! 

Nota di costume: la signora seduta di fronte a me (indebitamente, ha occupato un posto vacante) se l'è presa con la signora seduta dietro che ha osato appaludire Si, vendetta prima che l'orchestra avesse terminato. Come se fosse stata l'unica. Come se l'orchestra finisse in un delicato, malinconico sfumato. Come se il brano non fosse una PERFETTA macchina per far venire giù il teatro per l'entusiasmo del pubblico.
Devo ammettere che io non applaudo molto spesso, preferisco aspettare la fine della scena, mentre alla conclusione del pezzo chiuso applaudo solo in casi di ottima riuscita del brano e comunque, in effetti, aspetto che anche l'orchestra finisca. Però che il talebanesimo bayreuthiano arrivi a pretendere il silenzio assoluto alla fine del secondo atto del Rigoletto, bè, che cazzo, mo' si esagera! Fine nota di costume. 

Immagine rubata da gbopera.it


Bravi anche Gianluca Buratto (uno Sparafucile con le giuste note bassiiiisssssime, strappa-applausi anche queste), Nino Surguladze (Maddalena) e Seung Pil Choi (Monterone). Una mezza fetecchia (termine tecnico) il Duca di Mantova di Shalva Mukeria: per i primi due atti mio padre, che è sordastro (sua definizione) non riusciva neanche a sentirlo, per fortuna si è ripreso nel terzo atto, che se mi rovinava il quartetto potevo reagire molto male. 

Belle le scene e i costumi. Piacevole regia old style, personalmente a fine spettacolo ho osannato Panerai non tanto per la regia quanto per il solo fatto che esista. Geniale il cambio scena a vista nel primo atto, vedere i potenti mezzi del Carlo Felice in azione ha emozionato tutti; ho ritenuto gli applausi altrettanto naif che quelli fatti all'atteraggio di un aereo, però è stato indiscutibilmente bello. 

E la volete sapere una cosa? Mia madre ha preferito il Rigoletto all'eroico martirio amoroso di Violetta. Incredibile ma vero. Magari al prossimo giro la musica di Verdi riesce pure a farle digerire la truculenza del Trovatore, sono aperte le scommesse.

lunedì 25 novembre 2013

L'Arte della Felicità

Nessuna recensione, ma il semplice consiglio di andare a vedere questo bellissimo film.

venerdì 22 novembre 2013

Se 100 anni fa nasceva un genio

Non potevo esimermi dal ricordare il genio che nacque esattamente 100 anni fa.

Benjamin Britten, War Requiem Op.66

BBC Scottish Symphony Orchestra diretta da Ilan Volkov
Edinburgh Festival Chorus
National Youth Choir of Scotland
Solisti: Olga Guryakova (soprano), Christian Gerhaher (baritono), Mark Padmore (tenore)

Registazione dal vivo, Edimburgo, 3 settembre 2004



Ho un debole per la BBC Scottish Symphony Orchestra, sapevatelo.

domenica 10 novembre 2013

Le scarpine piccinine

Non sono per niente presente sul blog, lo so, ma bisogna considerare che solo da questa settimana ho ripreso la mia normale vita sociale, che sappia organizzarmi per avere tempo anche per il computer è pretendere troppo dalle mie misere forze. 

Tanto per non lasciare tutto all'abbandono posto un lavoro che avevo fatto questa estate per la bimba di una mia amica. Bimba che appena nata aveva dei piedini degni di un giocatore di basket! Quindi le avevo anche rifatte, aggiungendoci un cappellino in pendant, visto che la piccola iniziava già ad andare al mare... 
Purtroppo non ho potuto dare i regalini in tempo, perchè mamma e bimba sono partite di punto in bianco e ormai le scarpine sono troppo piccole. Visto che sono (siamo!) tutte incinte spero di reciclare il regalo, perchè sono trooooppo puchu!

Lo schema delle scarpine è molto semplice e l'ho preso da Lovely Little Life.

mercoledì 30 ottobre 2013

La matrioškina

Regalino per una mia amica ucraina-uzbeka-iraniana che è diventata panciona insieme a me (solo due giorni di differenza!). Mi sembrava un regalino carino per festeggiare la gravidanza di una ragazza di cultura russa, tanto più che le erano piaciuti altri miei paciughi, invece quando gliela ho data non è sembrata gradire molto, ma vabbè, a me sembra carina!

Schema preso da Bigù Handmade, ricamini ovviamente scarsi viste le mie capacità, fatezze della matrioška che si rifanno a quelli della mia amica. Mi è venuto in mente ormai troppo tardi che potevo fare un bordino carino al foulard della bambolina... sarà per la prossima volta!

lunedì 28 ottobre 2013

Nell'uno e nell'altro sesso si svolge lo stesso dramma della carne e dello spirito, del finito e del trascendente: ambedue sono rosi dal tempo, spiati dalla morte, hanno uno stesso essenziale bisogno l'uno dell'altro; e possono trarre dalla loro libertà la stessa gloria; se sapessero goderne non sarebbero più tentati di disputarsi falsi privilegi; e la fraternità potrebbe nascere tra loro.
Simone de Beauvoir, Il secondo sesso

Perchè dopo più di 60 anni dalla pubblicazione di questo libro, dopo tutto quello che negli ultimi decenni è accaduto, queste parole sono una preziosa verità ancora non riconosciuta? E perchè così tante donne sono le prime a non riconoscerla?

domenica 20 ottobre 2013

Volver

Ci sono voluti due mesi, ma sono tornata. Gli arretrati di ciò che dovrei scrivere sono di mole impressionante, magari li riprendo, magari faccio finta di nulla. Il resto, come dice il poeta, lo scopriremo solo vivendo.

domenica 18 agosto 2013

Finalmente un layout fatto da me! Era ora.

giovedì 15 agosto 2013

Noi si va

Il terzo giorno noi si va verso Firenze... senza andare a Firenze ovviamente! All'ultimo decidiamo di passare per Fiesole, soprattutto perchè si ha bisogno di un caffè. Ovviamente già che ci siamo andiamo a vedere il panorama, che in effetti merita, anche perchè la cupola del Brunelleschi fa la sua porca figura da qualsiasi angolazione e distanza.
Il panorma su Firenze da Fiesole
La prima vera tappa però è Pratolino con Villa Demidoff. Abbiamo fatto tutta questa strada apposta per vedere il Colosso dell'Appenino del Giambologna, anche perchè non c'è nient'altro da vedere e indovinate? è tutto impacchettato per il restauro. Nuoooooooooooooo!!!! Perchè non c'era scritto da nessuna parte? perchè sono dovuta arrivare fin qui, davanti a lui, per saperlo? Ci rimango malissimo.

Sentiero a Vallombrosa
Non resta che andare a farci un pic-nic a  Vallombrosa, dove il clima è più fresco e di spazio per sdraiarci tranquilli e beati c'è a iosa. Questa località è legata al nome di Giovanni Gualberto, che nel 1036 raggiunse questo luogo e vi si stabilì in eremitaggio assieme ad altri monaci, decidendo di seguire la regola di S. Benedetto. Non a caso oggi san Giovanni Gualberto è patrono del Corpo Forestale, che vista le dimensioni e la bellezza di questa foresta, qui deve avere un gran da fare! :) 

Dopo esserci mangiati i nostri panini ci dedichiamo ad una passeggiata nel bosco, che sembra incantato, con un bel sentiero facile facile. In realtà ci sarebbe il circuito delle cappelle, ma lasciamo perdere anche perchè non capiamo bene quanto dura. 
In compenso ci arrampichiamo su per la Scala Santa, una scalinata bella ripida che porta al Paradisino, eremo che promette più di quanto mantiene. Finiamo il giro visitando la bella chiesetta dell'Abbazia e ovviamente il negozio dei monaci, che questi posti pieni di liquorini e cremine sono la nostra passione!

Castello dei Conti Guidi a Poppi
Giornata quasi giunta al termine, ultima tappa Poppi, in provincia di Arezzo.
Qui da vedere c'è un il Castello dei Conti Guidi, edificio medievale a cui a messo mano, fra gli altri, nientepopodimeno che Arnolfo di Cambio.
Non conoscevo la famiglia Guidi, ma l'ignoranza è tutta mia, perchè a quanto pare è stata molto importante.
La monumentalità dell'esterno di contrappone alla "domesticità" delle stanze interne, rendendo il tutto affascinante.
La stanza più interessante è senza dubbio la cappella, con dei bellissimi affreschi di Taddeo Gaddi. Incorniciate da lunette che seguono le volte a crociera, sono raffigurate storie dai Vangeli: una parete, purtroppo la più rovinata, è dedicata a San Giovanni Battista, raffigurando l'incontro con Gesù nel deserto e la danza di Salomè; di fronte le scene raffiguranti la resurrezione di Drusiana e l'assunzione al cielo di San Giovanni Evangelista; una terza parete raffigura le storie della Vergine, con la presentazione al tempio e la dormizione.

L'esercito di terracotta
all'interno del Castello di Poppi

Il Castello ospitava anche ben tre mostre di arte contemporanea, anche se in tutta onestà era interessante solo quella di Giuliano Ghelli, soprattutto per quanto riguarda lo scenografico "esercito di terracotta", 45 busti posti su una scala che porta al secondo piano, davvero molto suggestivo, anche se non ho capito bene il senso della cosa. Ma se funziona, se ti emoziona, sarà così importante dargli un senso?
 La mostra è visitabile fino al 15 settembre.

venerdì 9 agosto 2013

Toscana, il primo giorno

La nostra prima giornata di vacanza e... c'è la nebbia! Bisogna pensare ad un posto che può essere affascinante anche visto in mezzo a tutta questa foschia. L'abbazia di S. Antimo! In realtà quando arriviamo splende il sole, ancora meglio: entriamo, troppo presto perchè siano arrivati i turisti, e una luce mistica entra dalla bifora dell'abside, mentre un canonico incapucciato prega inginocchiato vicino all'altare. Lasciamo queste atmosfere da Nome della rosa per andare a Montalcino, graziosamente adagiata sulla collina. Un paesino dove forse non c'è molto da fare, ma dove troviamo il mercato in pieno fermento ed è bello sentire le chiacchere della gente del luogo invece che essere circondati dagli onnipresenti olandesi, bisogna ammetterlo! Ci facciamo una passeggiata in questo mercatino fino alla fortezza. A pianta pentagonale, da fuori è davvero imponente, mentre il cortile interno ha l'aspetto decisamente più domestico, forse anche per la presenza di un'enoteca... continuamo il giro per raggiungere la piazzetta principale, più un incrocio fra due strade che una vera e propria piazza, ma molto graziosa.

Pausa per il pranzo a S. Quirico d'Orcia e visita preliminare a Bagno Vignoli, di entrambi parlerò in altra sede.

La vista da Montepulciano
Il pomeriggio prevede una visita a Montepulciano, la più turistica fra le tappe della giornata. Il paese è pieno di gente che vuole comprare vino, chiaramente senza sapere bene quello che sta facendo. Noi guardiamo e passiamo e, grazie al quotidiano allenamento del fare 4 piani di scale (negli ultimi mesi, da quando si è fatto male, pure col cane in braccio) ci lasciamo alle spalle i grupponi nella salita che percorre tutto il paese e che arriva nella piazza principale, vuota di gente ma occupata dell'impalcatura di un palco che purtroppo toglie la vista d'insieme. 

Una straduzza di Montepulciano
L'ultima tappa della giornata è Chiusi. Il nome di questa località è legata al locumone Porsenna, figura fra lo storico e il leggendario, che fece vedere i sorci verdi a Roma durante il delicato periodo del passaggio alla Repubblica. A sua volta il nome del locumone è legato alla leggenda del suo mausoleo, che qui dovrebbe essere stato eretto, la cui descrizione tramandata da Livio la identifica come una sboronata colossale comprendente un fottio di oro, piramidi gigantesche, ma soprattutto un labirinto alla base del tutto. Ovviamente gli archeologi fremono per trovare almeno un indizio della reale esistenza di tutta 'sta roba e ovviamente quando sono stati trovati cunicoli stretti e intricati sotto la città di Chiusi si è subito pensato a questo famoso labirinto. E invece trattasi di un altrettanto interessante sistema di approvvigionamento idrico, risalente in epoca etrusca e usato fino nel Medioevo. Il labirinto si può visitare assieme alla guida, una signora credo svedese che spiega tutto per bene e che conduce fino alla grande cisterna che si trova proprio sotto l'attuale torre campanaria del duomo, su cui si può salire per vedere il panorama. Pagando un solo euro in più si può visitare anche il Museo della Cattedrale, che conserva dei bei reperti archeologici di epoca protocristiana, dei codici miniati medievali e soprattutto ricordo con emozione un Cristo crocifisso ligneo, se non sbaglio del XIV secolo, dalla linea moderna, lo sguardo penetrante e le gocce di sangue in rilievo che escono dal costato.

domenica 4 agosto 2013

Toscana, un inizio

Non abbastanza soldi per fare una vacanza lunga e itinerante, ma la necessità di andarsene per un po' lontano da tutto e da tutti. Che fare? Una settimana in Toscana! E una settimana piuttosto particolare, perchè abbiamo scelto di evitare le città più turistiche (che avevamo già visitato negli anni precedenti) per dedicarci ai paesini. Ok, alcuni ugualmente turistici, ma più gestibili. In più una malefica zanzara, di quelle che mi fanno gonfiare sterminati centimetri quadrati di pelle, ha deciso di pungermi proprio sul piede, limitando i miei movimenti. Pochissimi musei, una sola passeggiata naturistica, vita cittadina quasi nulla... una vacanza parecchio stranina insomma.


Come prima tappa, lungo la strada, ci sarebbe piaciuto fare una passeggiata a Padule di Fucecchio. Abbiamo seguito un cartello che ci ha portato esattamente nel nulla, abbiamo impostato sul navigatore l'indirizzo del centro info turistiche, ci ha portato nel posto sbagliato ma abbiamo trovato la strada giusta, non abbiamo trovato nessuna traccia dell'ufficio... insomma, ce ne siamo andati. Dovevamo fare il nostro pranzo al sacco da qualche parte e allora siamo andati a Vinci, un paesino che forse un tempo era molto grazioso, ma che non dà motivo di fermarsi neanche poco tempo a meno che non si voglia visitare uno dei musei dedicati a Leonardo. E noi non volevamo, quindi abbiamo mangiato su un tavolino appena fuori le mure e poi... via!

Sovicille
Spesuccia e poi non ci resta che andare a montare la tenda. Anche la scelta del campeggio è stata particolare. Doveva essere in Toscana, costare relativamente poco, lontano dal mare e dalla calura infernale. Risultato: campeggio a Sovicille.
Sovicille è un grazioso paesino con una quantità infinita di frazioni e frazioncine a una decina di km da Siena; il campeggio è poco fuori il paese, pianeggiante, pulito, ombroso, tranquillo, con piazzole belle grandi, una zona pic-nic e non costa molto. La mancanza di piscina tiene lontani i turisti che portano con sè tutte le piccole bestiole urlanti chiamate bambini, ma visto che lì è freschissimo non se ne sente per niente la mancanza. Uno stato psico-fisico molto vicino al nirvana. L'unico piccolo difetto è la "cera" che cade dagli alberi, lasciando uno strato gommosissimo e lepegosetto su auto e tenda, ma se ne va via con acqua!   

mercoledì 3 luglio 2013

Tu riproducila un po', l'opera, e ciao aura!

Più riguardo a Tutto il ferro della torre Eiffel Nel 1936, Walter Benjamin, l'autore de  L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, si reca in pellegrinaggio al passage des Bérésinas (o Choiseul), dove passò la sua infanzia Louise-Ferdinand Céline. Una volta arrivato, Karl Fischerle, il nano gobbo e truffaldino di Autodafè, riesce a vendergli i tre puntini di cui Céline fa (ab)uso in Morte a credito... i 3 soldi dell'opera brechtiana... Odadrek...

Nello stesso anno, Thomas Mann ha una discussione col figlio Klaus, che si è ucciso 13 anni dopo.

A Parigi, sei fra i principali eteronimi di Fernando Pessoa, un anno dopo la sua morte, decidono di dar fuoco ad un barbone.

Il grande medievalista Marc Bloch scopre che il processo subito da Joseph K. è stato inoltrato a causa della denuncia di tale Karol Fišerka, nano circense.  

Henri de Graffigny pretende dall'editore Denoël una percentuale sulle vendite di Morte a credito, essendone, a ben vedere, il protagonista.

Tristan Tzara e Marc Bloch aiutano Benjamin in una partita a scacchi per corrispondenza contro Erich Auerbach, il quale, attraverso la vittoria, vuole impossessarsi della collezione di oggetti di Benjamin, nonchè finire i suoi ultimi saggi su Baudelaire, Kafka e, ovviamente, quello sui passages parigini. Nelle pause, compongono cadaveri squisiti

Bibendum scrive una straziante lettera alla bambola che Oskar Kokoschka fece contruire con le fatezze di Alma Mahler.  

Mentre visiona una sequenza di Olympia, Leni Riefensthal si accorge che ad ogni nuova visione compaiono alle spalle di Hitler: Cosima Wagner, Lou Salomè, Lola-Lola, Theda Bara, madame Blavatsky, Alma Mahler, Lola Montez, Isadora Duncan, Sarah Bernhardt, la Bella Otero, Mata Hari, Lulù. Una volta uscite dallo schermo, autodefinendosi Le Madri, iniziano a discutere per la leadership del gruppo dandosi vicendevolmente della baldracca.   

Non vi dico chi nelle sembianze di cosa dice: "Spero per lui che sia al cospetto di Wagner nella luce abbagliante di Wotan, altrimenti peggio per lui, si fotta!"

A parte i personaggi di opere di fantasia che dialogano con persone realmente esistite, a parte la grottesca popolazione dei passages, a parte il divertimento di riconoscere colte corrispondenze, a parte che sono convinta di aver discusso con Marc Bloch, aiutati da un paio di calvados a testa, su quanto sia perturbante non aver trovato l'Olimpia hoffmanniana fra tutti questi automi, a parte tutto, quello che rimane è il senso della tragedia incombente, della morte inevitabile, della disperazione delle vite distrutte dalla guerra. Perchè se la Seconda Guerra Mondiale è stata vinta dagli Alleati, la partita a scacchi che assieme a questa si combatteva, quel tipo di partita che può salvarti l'anima, quella, forse, non si poteva vincere.
 

giovedì 13 giugno 2013

L'importanza di essere maudit

Quante mostre su Modigliani avrò visto negli ultimi 20 anni? Più o meno tutte quelle allestite in Italia e zone limitrofe. E davanti a quante opere di artistoni, artistelli e artistoidi della cosiddetta École de Paris mi sono incantata? Un numero tendente ad infinito. Perchè Amedeo Modigliani e tutto il suo entourage  parigino rappresentano il primo amore e il primo amore, che ve lo dico a fare, non si scorda mai. Quindi non potevo esimermi da vedere anche Modigliani, Soutine e gli altri artisti maledetti, nonostante il titolo. Come il più scarno sottotitolo spiega, trattasi di alcune delle opere della collezione Netter, riunita per l'occasione, come usano fare alcuni vecchi gruppi rock.

Sono andata un giovedì pomeriggio, in modo da godermi le sale vuote, avendo la pazienza di lasciar passare i grupponi incuffiati. Ad essere sincera le cuffie a questo giro le avevo anch'io, essendo comprese nel prezzo del mio biglietto (ovvero quello speciale con il viaggio sui potenti mezzi delle Ferrovie Nord). Ho anche provato ad ascoltare alcune spiegazioni, ma ero più attratta dalle onnipresenti gimnopedie e gnosserie di Satie in sottofondo; vada però a loro discolpa che non hanno indugiato solo sulla Gymnopédie 1 (ma c'è, tranquilli che c'è).

La prima sala funge da pout-pourri di quello che ci aspetta nel resto della mostra: un bel ritratto di Netter, dipinto da Moïse Kisling, che doverosamente apre la mostra; un meraviglioso paesaggio urbano di Utrillo; gli immancabili ritratti di Jeanne Hébuterne e Leopold Zborowski, quelli di piccole dimensioni, 46x27 per la precisione, dipinti da Modigliani nel 1916; le Grandi Bagnanti di André Derain, del 1908.
André Derain, Le grandi bagnanti, 1908, Olio su tela, cm 178 x 225, © Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset, © André Derain by SIAE 2013. Foto rubata da http://blog.nh-hotels.it
Quest'ultima è senza dubbio l'opera che attira lo sguardo di chi entra, non solo per il grande formato, ma anche per una certa familiarità che si riconosce nel modo in cui è trattato il soggetto, quasi un trait d'union fra Cezanne e Picasso (anche se non so se ci sia proprio bisogno di un trait d'union fra Cezanne e Picasso). D'altronde non solo l'anno è quello delle Demoiselles, ma non c'era artista all'epoca che non indugiasse nelle perfette forme di Cezanne e le riportasse nelle sue opere.
Quello che invece ha attirato la MIA attenzione è stato il quadro di Utrillo, una pennellata quasi van-goghiana, gli alberi materici con gocce di giallo fra il nero, i palazzi che escono dal quadro, che cadono su se stessi; sembra una vivace domenica pomeriggio, ma è tutto sporco e cattivo.

Un quadro che è un'ottima anteprima della sala dedicata a Maurice Utrillo. Ritorna quella pennellata usata per dipingere gli alberi, ma meno aggressiva, più fluida e morbida, in Paesaggio corso del 1912. Ancora gli alberi che attirano verso l'interno del quadro e una strada che corre verso l'orizzonte, le case con le persiane che vorresti aprire in Piazzetta della chiesa a Montmagny del 1907 circa. Gli  alberi sono invece carichi di foglie multicolori in Chiesa di periferia del 1909, con un vertiginoso stacco fra edifici e cielo (quello che la madre gli invidiava, a sentire la guida) che risucchia dentro al quadro e lì ti inchioda. Per non parlare dello splendido Chiesa di Sermaize (1914/16 circa) - la solita capacità di cataputarti all'interno del dipinto, dentro le case con i soliti alberi, le solite persiane, lo sporco alle pareti, il cielo grigio. È risaputo che Utrillo dipingeva a scopo curativo, per arginare almeno in parte i danni dell'alcolismo. Non so se questo quadro sia stato terapeutico per lui, sicuramente lo è per me!

Quadri pochi ma buoni nella sala dedicata a Suzanne Valadon, in cui spicca Nudo che si pettina del 1916, forse il mio quadro preferito fra tutti quelli esposti alla mostra. Che signora artista, Valadon! Che capacità di dipingere corpi sfatti e attraenti, carni dai colori marci che disegnano rotondità sensuali! Non mi staccavo più da questo quadro che mi ha dato molte emozioni, nascoste in tanta apparente semplicità. 
(Nota di costume: ricordate quanto detto sulle cuffie con le spiegazioni? come inizia la descrizione di questa meraviglia? "La musica di sottofondo è di Erik Satie, che per qualche mese fu amante dell'autrice del quadro." Occhietti della Simo al cielo.)

Si arriva finalmente alla sala con i capolavori di Amedeo Modigliani. A sorpresa è stata la parte che mi ha interessato meno, forse per l'overdose di mostre di cui parlavo all'inizio. Ma impossibile non rimanere comunque incantati dal ritratto di Jeanne Hébuterne del 1918 (quello di profilo, lei è vestita in nero e rosso) o il ritratto di Elvira con colletto bianco.
In un angolino che pochi degnano di uno sguardo sta anche un Adamo ed Eva (1919) di Jeanne Hébuterne, che non avevo mai visto e di cui nemmeno sapevo l'esistenza (ma sempre vengo a conoscenza dei suoi quadri solo alle mostre, è la natura del suo patrimonio artistico...). Non di certo un capolavoro, simil-naïf come si confa alle opere di questa artista, chi si ferma davanti non può fare a meno di sentirsi incuriosito dalla macchia di colore che Eva tiene fra le mani. Non capita spesso che la mela sia così sottilmente ipnotizzante... ma dovrebbe!

Chaïm Soutine, La pazza, 1919 circa, olio su tela, 
Immagine proveniente da
http://www.artexpertswebsite.com/pages/artists/soutine.php

La sala dedicata a Chaïm Soutine si fa negativamente notare perchè non si vede NULLA a causa del riflesso delle luci sui quadri. La forzata visione da lontano ha il suo fascino, però. Il ritratto di Chaïm dipinto da Modì (quello del 1916) campeggiava solitario sul lato corto della stanza, come un re a capotavola. Ho adorato Bimba con vestito rosso, del 1938, che potrebbe essere un adorabile, distorto pendant della Bambina con vestito azzurro di Modigliani (presente in mostra). Sono stata morbosamente attratta dalle enormi mani de La pazza (1919 circa), dall'espressionistica deformazione de La donna in verde (sempre del 1919 circa). Mi accorgo solo ora, scrivendo, che hanno attirato di più la mia attenzione i ritratti che i paesaggi. Forse dipende dal fatto che avevo già visto in altre mostre i suoi buoi, sentieri e platani o forse, più probabilmente, non c'è paesaggio al mondo, nemmeno dipinto dai più grandi, che io possa preferire ad un ritratto.

    Infine la sala dedicata a Moïse Kisling, dove spiccano La donna con maglione rosso del 1917, la cui modella un po' assomiglia a Jeanne Hébuterne, e il Nudo sdraiato sul divano del 1919, soggetto modiglianesco, resa sensualissima, con la modella di sbieco a far da spartiacque fra i colori freddi del panno in cui sta sdraiata e la tenda rossa che sopra lei sovrasta.

    lunedì 10 giugno 2013

    Quando tu, in divisa di scolara, come un'ombra uscisti dall'oscurità della camera d'albergo, io, ragazzo, senza sapere nulla di te, compresi con tutta la forza dell'angoscia, che nel mio intimo rispondeva alla tua, che quella ragazza magrolina e fragile era carica, come d'elettricità, di tutta la femminilità pensabile al mondo. "Se ti avvicini o la tocchi con un dito, una scintilla illuminerà la stanza e, o ti fulminerà all'istante, o s'impadronirà di te per tutta la vita, con la potenza magnetica della sua tristezza." Fui sconvolto dall'emozione, come folgorato e cominciai a piangere dentro di me. Sentivo una sconfinata pietà per me stesso ragazzo e ancora di più per la bambina che eri tu. Tutto il mio essere si stupiva e si chiedeva: se fa così male amare, assorbire questa elettricità, come deve essere più doloroso essere donna, essere questa elettricità, e suscitare l'amore!

    Borìs Leonìdovič Pasternàk, Il dottor Živago

    domenica 9 giugno 2013

    La grotta dei sogni dimenticati

    Continuo a imbattermi per puro caso in magnifiche immagini del sud della Francia... proprio in questo periodo in cui si inizia a pensare alle vacanze! Perchè di vacanze c'è bisogno, anche se da questo momento non lavora nessuno in famiglia...
    Sono passata più volte in questa zona, ho visitato varie città, mi sono sparata interminabili code in auto lungo la costa e l'autostrada. Non sono mai stata particolarmente affascinata dalla regione; nemmeno la nobile Avignone, men che mai il lifting viollet-le-duchiano di Carcasonne mi hanno fatto battere veramente il cuore. Ho dei bei ricordi delle mie brevi permanenze, ma solo perchè un viaggio senza bei ricordi è come la focaccia al formaggio senza il formaggio.
    Quello che mi era sfuggito era: vicino alle città e cittadine che ho visitato ci sono delle montagne. Montagne che, a parte il celebre profilo della Sainte-Victoire, mi sono completamente ignote. Eppure...
    Se il parco naturale del Verdon si trova non troppo lontano da Cannes, andando verso nord-ovest, più a nord di Avignone, c'è qualcosa di ancora più straordinario: la valle che custodisce  alcune fra le più antiche pitture murali del mondo, quelle della grotta Chauvet.

    La grotta corre per oltre 500 metri all'interno della montagna, e fu scavata nei secoli dal fiume Ardèche. Di grandissima bellezza, ha lunghe pareti traslucide di cristalli e cupole iridescenti. Viene resa famosa dalla scoperta, nel 1994, di numerose pitture parietali risalenti all'uomo di Cro-Magnon
    da wikipedia


    Grotta che è mostrata in tutta la sua bellezza da un documentario di Werner Herzog, il quale tanto ha fatto finchè non ha avuto il permesso dal governo francese di girare dentro la grotta (perchè se non fa qualcosa al limite dell'impossibile, non è felice lui). Risultato? Un bellissimo documentario, che fa godere non solo delle straordinarie pitture della grotta, ma anche del bellissimo paesaggio dei dintorni, con le pareti di roccia modellate dal fiume Ardechè.


    Un documentario così bello ed emozionante che mi ha fatto venire voglia di saperne di più sulle popolazioni preistoriche, che mai, MAI, avevano attirato la mia attenzione prima di quella sera. Un altro piccolo miracolo di Herzog.

    sabato 8 giugno 2013

    Una montagna di rose e un cespuglio di peonie

    Alcune foto che ho scattato nel Roseto di Villa Reale a Monza. Quando il soggetto è una meraviglia non importa molto quanto è scarso il fotografo...


    martedì 4 giugno 2013

    Lo sapevo che l'altro tema durava poco. Non avendo ancora tempo per farne uno mio ho scelto questo, che c'entra meno, ma è più bello.

    giovedì 30 maggio 2013

    Io vivo QUASI in ciel

    La Traviata, Carlo Felice, 26 maggio 2013

    Violetta ValeryMariella Devia
    FloraValeria Sepe
    AnninaPaola Santucci
    Alfredo GermontAtalla Ayan
    Giorgio GermontRoberto Servile
    GastoneEnrico Salsi
    Barone Valdis Jansons
    Marchese Claudio Ottino
    Dottor Grenvil Christian Faravelli

    Direttore Fabio Luisi
    Regia Jean-Louis Grinda
    Scene Rudy Sabounghi
    Costumi Jorge Jara
    Coreografia Eugénie Andrin
    Allestimento nuovo allestimento in coproduzione con Opéra de Monte-Carlo


    Voglio tanto bene al mio abbonamento alla lirica qui a Como, ma ritornare nella MIA città, nel più bello dei suoi tanti teatri e ascoltare la Devia mi istiga l'orgoglio ligure e soprattutto mi fa godere quasi fisicamente! Eh si, voglio tanto bene anche alle giovani cantanti della As.Li.Co, ma la Devia è la Devia, auguro a qualsiasi primadonna di riuscire ad avere anche solo la metà della sua perfezione tecnica!
    Immagine rubata da ilcorrieremusicale.it
    Sono riuscita a portare i miei per la prima volta a vedere l'opera e mio padre ha deciso di fare lo sborone e prendere i posti in  seconda fila. Ahimè, sono loggionista dentro e l'orchestra non riusciva ad arrivarmi come sono abituata: per tutto il preludio ho avuto la strana sensazione di dover alzare il volume in qualche modo. Peccato perchè dirigeva Fabio Luisi. A parte ciò, la seconda fila è fighissima e mi sono data un sacco di arie, in tutti i sensi! :)
    Unico neo della giornata è che io volevo andare appositamente per sentire Rolando Panerai, che ascolterei volentieri sempre e comunque a qualsiasi età sua e mia. É stato sostituito da Roberto Servile, che purtroppo l'ha fatto molto rimpiangere (e che non si è presentato all'uscita finale). Bravo invece il tenore Atalla Ayan (e pure belloccio, via!).

    Su Mariella Devia c'è poco da dire e molto da inchinarsi.  Certo, come sempre si nota che soprattutto è cantante (e che cantante!), basta vedere la scena della lettera: altre più istrioniche interpreti aspettano questo momento come quello del loro trionfo, ma la Devia non sembra del tutto a suo agio, ma quando riprende Addio del passato allora, come un albatros che ritorna nel suo elemento, spicca il volo! E il melomane ha tutto quello che ha sempre voluto ma non ha mai osato pretendere da Violetta Valery.  

    La regia di Jean-Louis Grinda è stata gradevole, forse questa estate vedo un'altra rappresentazione con la sua regia e non mi dispiace. Solo l'inizio forse lascia qualche dubbio. Il sipario si è aperto ancora prima che iniziasse il preludio, con la scena ambienta in uno squallido bordello dell'800, dove la nostra Violetta giace, già ammalata, nell'attesa del dottore che deve abitualmente visitare le prostitute. Dottore che altri non è che Grenvil, che ve lo dico a fare.
    Immagine rubata da primocanale.it
    Durante l'esecuzione dell'ouverture abbiamo tempo di assistere alla visita e vedere l'entrata di un riccone che sceglie la Nostra e la veste con un ricco abito fucsia, a significare che da prostituta di bordello diventa mantenuta d'alto bordo. Non avendo mai letto il libro (devo recuperare, mannaggia!) ignoro se questo sia una strizzatina d'occhio a Dumas o una libera interpretazione del regista riguardo alla carriera di una cortigiana, fatto sta che col preludio poco c'entra.

    Ecco, e ora che ho buttato giù qualche ricordo della recita ritorno nel mio cantuccio a vivere quasi in ciel.

    mercoledì 29 maggio 2013

    Esattamente un secolo fa...

    ... andava in scena Le sacre du printemps. Non possiamo godere della grazia innaturale di Nižinskij, ma abbiamo Pina Bausch.


    venerdì 24 maggio 2013

    La grande bellezza

    Se Flaubert non è riuscito a scrivere un libro sul nulla, perchè Sorrentino dovrebbe riuscire a farci un film?

    mercoledì 22 maggio 2013

    Tanti auguri, vecchio porco!

    Per festeggiare i 200 anni di Richard Wagner eccovi una piccola panoramica di preludi che spero delizieranno i vostri animi senza che sentiate il bisogno di invadere la Polonia.

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    Tannhäuser, Wiener Philharmoniker diretti da von Karajan


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    Parsifal, Wiener Philharmoniker, diretti da sir Georg Solti


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    Gran finale col magnifico inizio di Melancholia di von Trier: Tristan und Isode, City of Prague Philharmonic Orchestra diretta da Richard Hein 


    sabato 18 maggio 2013

    ¡Viva la vida!

    Torturata da un dolore insopportabile, il sangue che continua a scorrere, una corsa in ospedale. Non c'è bisogno che te lo dicano, sai già che il tuo grembo è vuoto, che non è riuscito a trattenere il tuo bambino.
    Era il 4 luglio del 1932 quando Frida Kahlo venne portata all'ospedale di Detroit a causa dell'aborto spontaneo che stava subendo. Nei 13 giorni d'ospedale che seguirono quella notte Frida concepì Henry Ford Hospital.

    Henry Ford Hospital
    1932, olio su metallo
    Fondazione Dolores Olmedo, Città del Messico
    Immagine presa da www.fridakahlo.org

    Con la nitida precisione che contraddistingue la sua produzione, con la toccante semplicità di un retablo devozionale, Frida Kahlo dipinge il suo dolore. Lei è distesa nuda su un enorme letto d'ospedale, piangente, così piccola da sembrare una bambina. Ha il ventre gonfio per la gravidanza; sotto di lei il sangue impregna le candide lenzuola, il suo utero non è in grado di ospitare la vita. Con la mano tiene appoggiati al grembo dei fili rosso sangue ai quali sono attacati, come palloncini fluttuanti nell'aria, i simboli del suo aborto. Il filo centrale che va verso l'alto è attaccato all'ombelico di un feto maschio; ai suoi lati stanno un manichino che mostra l'anatomia dell'apparato riproduttivo femminile e una lumaca, animale che per le popolazioni dei nativi messicani è simbolo di concepimento e nascita, essendo la sua caratteristica andatura associata al processo delle fasi lunari, come il ciclo femminile. Un simbolo che ricorre nella produzione di Kahlo : collegata alla conchiglia di mare rappresenta la sessualità e la vita in Diego e Frida e Mosè.
    Fra i fili che si dipanano verso il basso quello centrale tiene legata un'orchidea viola, fiore che rappresenta la sessualità, ma anche l'omaggio floreale che il marito Diego Rivera aveva portato a Frida in ospedale. Ai lati dell'orchidea l'osso di un bacino femminile e uno strano macchinario, a quanto pare una parte di sterilizzatore al vapore, usato all'epoca negli ospedali, il cui meccanismo di chiusura potrebbe aver trasmesso alla Kahlo delle corrispondenze con l'impossibilità ad avere figli.
    Sullo sfondo, lontano, ai limiti di una terra desertica che si staglia sotto il letto d'ospedale, il complesso industriale di Rouge River di Dearborn, che fu visitato molte volte da Diego nei mesi passati a Detroit per prendere ispirazioni e fare schizzi per il suo Uomo e macchina

    La solitudine e il dolore rappresentati sono laceranti e toccanti. Chi guarda il quadro è diviso da fra l'istinto a distogliere lo sguardo e la forte empatia che suscita, fra cancellare l'immagine dalla mente e la volontà di fissare ogni minimo particolare, per quanto disturbante possa essere: la piccolezza di quella donna incinta, gli oggetti reali sospesi nello spazio, il sangue, i simboli sessuali.
    Tutta la vita di Frida Kahlo è dolore costante, è fame d'amore, voglia di sesso, è la volontà di dipingere ogni lacrima, ogni goccia di sangue, è sedurre la morte, è combattere la morte.

    Stavo leggendo una biografia su Frida quando ho passato una notte simile a quella descritta in Henry Ford Hospital. Quello che più mi ha consolato è stata la riproduzione di questo piccolo retablo laico. Per questo e per tutto il resto, ahora y siempre que viva Frida Kahlo!

    mercoledì 15 maggio 2013

    Rifare la vita! Così può pensare solo gente che ne avrà anche viste di tutti i colori, ma che non ha mai conosciuto la vita, non ha mai sentito il suo spirito, la sua anima. Per costoro l'esistenza è un grumo di materiale grezzo, che il proprio contatto non ha ancora nobilitato e che perciò ha bisogno della loro rielaborazione. Ma la vita non è mai un materiale, una sostanza. La vita, se volete saperlo, è un elemento che continuamente si rinnova e rielabora da sè, che da sè si rifà e si ricrea incessantemente, sempre tanto più alta di tutte le nostre ottuse teorie.
    Borìs Leonìdovič Pasternàk, Il dottor Živago

    sabato 27 aprile 2013

    I miei primi amigurumi


    Ebbene si, anch'io mi sono data ai pupazzini all'uncinetto! Volevo creare un regalino divertente per il matrimonio di mio cognato con la sua dolce metà (giapponese) e ho partorito 'sti due. Sembrano carini, no? Lei è una tipica kokeshi che mi sono inventata di sana pianta, invece lui, che per motivi che non vi sto a spiegare doveva avere le fattezze di un polpo principe, segue lo schema di Pica-pau con tutte le modifiche del caso.
    Bè, che dire, hanno avuto successo!

    giovedì 14 marzo 2013

    Mi sono resa conto che non ho mai tempo per rinnovare la grafica del blog, quindi ho caricato un template già fatto, ma secondo me non dura molto...

    venerdì 8 marzo 2013

    Il silenzio, soprattutto il silenzio

    Mistrà by Simo & Ste
    Mistrà, in una vecchia foto su il mio album Flick
    Leggere L'enigma di Piero della Ronchey fa quasi male in queste giornate uggiose; fra le pagine continua a fare capolino Mistrà e mi torna alla mente la piana di Sparta vista fra le arcate goticheggianti, il fresco delle prime ore del mattino, il buio di Haghia Sophia, i gatti delle monache, il silenzio prima che arrivassero i turisti.

    Quand'anche mi venissero a mancare l'amore e la bontà, l'universo non sarà mai per me solitudine, perchè conservo nella memoria quelle immagini luminescenti.  
    Maurice Barrès, Le voyage de Sparte

    sabato 23 febbraio 2013

    The Young Person's Guide to the Escape

    Una ragazza si siede vicino alla finestra per leggere un romanzo mentre la musica di Britten e Purcell risuona per tutta la casa. Sembra di descrivere la sottoscritta e invece no.

    Foto rubata da Fanàtico


    In un'altra scena, l'impeccabile attrezzatura di un ragazzo occhialuto rende agevole la vita all'aria aperta, mentre la ragazza di qui sopra, che lo accompagna, gli mostra che si è portata dietro solo l'essenziale: il binocolo, una valigia piena di libri, il giradischi portatile e il gatto. Di nuovo, sembra la mia tipica vacanza, ma no. Trattasi, invece, dell'ultimo film di Wes Anderson.

    Siamo nel 1965, due giovanissimi outsider si incontrano durante la recita in chiesa (no, non è il triste presepe vivente che facevo sempre io, qui parliamo del Noye's Fludde di Britten!). Iniziano una corrispondenza con tutti gli argomenti pre-adolescenziali del caso, programma di una fuga compreso. E quando la fuga ha inizio sulle loro tracce si mettono, fra gli altri, mamma Frances McDormand, che venero in ogni film, e capo scout Edward Norton, che nei panni dell'adulto vestito da ragazzino alla guida di ragazzini vestiti da imbecilli vale da solo la visione. Di roba per cui mi sarei potuta follemente innamorare di questo film ce n'è come se piovesse. E invece...
    E invece, se avesse senso vedere il manierismo di Anderson come un difetto, direi che Moonrise Kingdom è troppo manierista. Troppo sicuro dell'auto-referenzialità dei suoi caleidoscopisci, coloratissimi, assurdi, manieristicamenteperfetti (tuttaunaparola) quadretti on silver screen. Troppo esattamente quello che pubblico e critica cercano, così esattamente che qualcosa si è perso. Forse l'originalità dei Tanenbaum, forse il coinvolgente senso di dolore e libertà de Il treno per il Darjeeling. Forse so' io che so' vecchia. 
    Fatto sta che l'amore non è stato a prima vista, ma magari gliene concedo una seconda. 

    sabato 16 febbraio 2013

    Quando quattro anni fa mi sono trasferita in un'altra città il primo posto che ho visitato è stata la biblioteca. Ora mi sono nuovamente spostata in una città diversa e questo passo di Pasternak mi scalda il cuore.

     
    Prima di quelle visite in biblioteca era stato raramente a Jurjatin, non avendo ragioni particolari per recarvisi. Perciò la conosceva appena. E quando, sotto i suoi occhi, la sala di lettura a poco a poco si riempiva di persone, che si sedevano chi distante da lui, chi più vicino, provava la sensazione di far conoscenza con la città, quasi si trovasse in uno dei punti più frequentati e nella sala non confluissero lettori, ma si assembrassero le case e le strade in cui quelli vivevano. 
    Borìs Pasternàk, Il dottor Živago

    sabato 9 febbraio 2013

    Le cose di cui avrei potuto parlarvi in questi mesi se la connessione avesse funzionato:

    i musei del Belgio, Melancholia di von Trier, Romeo e Giulietta zingari, Ernani con l'oro in bocca, un Beckett noioso, un Macbeth sorprendete, ginnastica ellenico-balcanica, i lavori che non ho portato a termine e i libri che non sono riuscita a leggere perchè troppo impegnata a cercare casa prima e a traslocare dopo.

    Ma sono tornata. E la connessione pure.