martedì 20 gennaio 2015

Il rospo e la colomba

Tutte amano Frida. Tanto più amava la vita tanto più questa era bastarda con lei, ha avuto la forza di dipingere la fragilità e la spudoratezza di mostrare il dolore, ha dato voce alla femminilità. Tutte amano Frida.
Forse la mostra non mette in luce tutti gli aspetti della sua arte e della sua personalità, ma è comunque di grande interesse, se non altro perché le opere di Diego Rivera, principe consorte, hanno uguale spazio. Ma, un po' perché Frida è più glamour, un po' perché Rivera dà il meglio di sé nei murales, la Kahlo rimane la regina dell'esposizione. 

Un po' troppo didascaliche forse le sezioni della mostra. I pezzi forti di Kahlo sono nella sala intitolata Amore e morteDiego nei miei pensieri, splendido autoritratto che racchiude tutto quello che ti aspetti da lei: la messicanità, l'escamotage naif, l'amore per Diego, le lacrime e il barocco di una Virgen laica, e L'amoroso abbraccio dell'universo, la terra, io, Diego e il signor Xòlotl, in cui Frida richiama la cosmica protezione su di sé e su coloro che ama. 

Frida Kahlo, Autoritratto con treccia, 1941, olio su masonite, 
Collezione di Jacques & Natasha Gelman,Città del Messico, Messico
Immagine presa da www.fridakahlo.org
Nella sala dedicata al Surrealismo veniamo accolti dal video con i pochi frammenti rimasti di un progetto di Lola Alvarez Bravo in cui Kahlo avrebbe dovuto apparire come attrice. Ci viene mostrata una Frida bellissima, ma il giudizio è quello che ho per tutti i film surrealisti che non siano Un chen andalou: insopportabile.
Il resto della sala presenta alcuni disegni di Kahlo dal sapore surrealista come il bozzetto per il Ritratto di Luther Burbank, i cadaveri squisiti eseguiti con Lucienne Bloch e alcuni autoritratti, fra cui quello con treccia è il più particolare. Nella stessa sala anche disegni di Rivera di verdure e piante antropomorfe e Mandragola, due versioni di una fanciulla bianco-vestita con teschio in grembo.
Non so quanto abbia senso intitolare una sala Surrealismo: disegni molto più surrealisti, come quelli di Frida raffiguranti inquietanti, caotiche case con elementi antropomorfi, fanno bella mostra di sé in altre sale. Forse ha comunque più senso che chiamarne una Solitudine e nature morte, visto che è presente una sola natura morta. La solitudine invece è ben rappresentata da opere di diversi periodi: Autoritratto con cane itzcuintli del 1938 e l'Autoritratto con scimmie del 1943, in entrambi la presenza degli animaletti domestici di Frida, invece che attenuare, accentua quel senso di desolazione che ti spezza il cuore. Toccante l'Autoritratto con il ritratto di Diego sul petto e Maria tra le sopracciglia, la pennellata pastosa con spessi strati di colore per una delle ultime opere di Frida, dipinta sotto l'effetto degli antidolorifici.

Sebbene, come detto, la vera arte di Rivera si manifesti nei grandi murales, la mostra è riuscita a dare un'idea della sua opera in maniera più globale di quanto fatto con la Kahlo.
Sono presenti opere del periodo giovanile con alcuni quadri che vanno dal 1906 al 1919, molti dei quali sono di un cubismo così poco memorabile da essere quasi imbarazzante. C'è speranza per tutti, insomma.
Più interessanti i disegni dei viaggi a Venezia e Ravenna, con tanto di appunti sulla composizione delle opere d'arte che Diego ammirava; bello vedere l'occhio e il cervello del pittore in azione davanti ai maestri del passato.

Diego Rivera, Girasoli, 1943
immagine presa da Pallant House Gallery

La sala 5 è l'apoteosi di Rivera, con bozzetti e bozzettoni per i murales del 1926 circa e bellissimi quadri nei dintorni del '43, come il sottilmente inquietante Girasoli.
Per quanto mi riguarda il quadro più bello è America preispanica, creato per essere la copertina di Canto General di Pablo Neruda, è quasi un mural in piccolo formato, dallo stesso fascino del Mosè della Kahlo (purtroppo non in mostra), che ben rappresenta la bellezza della natura selvaggia e l'eroicità quotidiana dei popoli precolombiani attraverso le madri che lavorano la materia prima, i semi-nudi architetti di Machu Pichu e Chicen Itza e i loro operai, ma anche i terribili sacrifici umani.
Un video grande quando la parete mostra alcuni murales di Diego, da Detroit al Messico passando per San Francisco, tanto per non perdere di mira la monumentalità delle opere finite. Poche musse, questa è roba che va vista dal vero, non solo per gli ovvi motivi, ma perchè tutto intorno a te dovresti avere il Nuovo Mondo, spiace molto non uscire da lì e trovarsi in Messico.

C'è anche una sala dedicata a Rivera ritrattista. Ovvero ricche signore vestite di abiti tradizionali, la pochezza delle quali fa tristezza a decenni di distanza, nonostante la maestria di Diego. I quadri migliori della sala in realtà sono di Kahlo: il ritratto di Diego e quello di Marucha Lavin, contornata da foglie verdi brillanti e farfalle, e le cui decorazioni dell'abito hanno il tipico effetto "pixelato" del punto croce. Adoro queste innocenze di Frida. Interessante il confronto dello stesso soggetto dipinto da entrambi, ovvero i ritratti di Natasha Gelman, splendido quello di lei, meno riuscito quello di lui, con le calle bianche sullo sfondo (tanto per cambiare) e una composizione generale più appropriata a Tamara de Lempicka.

Foto presa da www.improvisedlife.com
Non solo di quadri e disegni si occupa l'esposizione, c'è anche una sala dedicata alle fotografie che ritraggono i Nostri, quasi un album di famiglia. Ma questa è una famiglia di gran classe, perché i fotografi si chiamano Nickolas Muray o Lola e Manuel Alvarez Bravo e l'unico video presente è un filmato muto in cui Trotsky legge qualcosa ad alta voce a Frida e Diego. Forse le foto più interessanti sono quelle fatte da Guillermo Kahlo, il padre di Frida che di mestiere faceva appunto il fotografo; alcune si trovano in tutti i libri, altre sono meno note.
La mostra finisce con una piccola esposizione degli abiti di Kahlo nella meravigliosa Cappella del Doge. Commovente il busto dove Frida aveva dipinto la falce e martello e un feto.
Da mal di denti il video di Yasumasa Morimura, artista che ha dedicato una sua performance alla Kahlo e ai suoi abiti. Filosoficamente ne penso tutto il bene possibile, in pratica ha messo a dura prova la mia infinita pazienza e farò finta che il problema sia solo la mancata comprensione del giapponese.

Menzione d'onore al bookshop, che, ispirandosi al Messico, è il più colorato nella storia dei bookshop. 

domenica 18 gennaio 2015

Farfalla al volo

Teatro pieno come un bibino: nemmeno un palco vuoto. Ogni volta che c'è Puccini, tutta Como esce di casa. E quindi mi inchino a questo amore fra la mia città di adozione e il grande compositore e, sebbene non avrei nemmeno il tempo per farlo, un mini-resoconto in poche righe lo scrivo lo stesso. 

Bravissima Cio-cio San, Cellia Costea, che deve aver sentito il disco della Callas fino allo svenimento, ma che ancora deve imparare a lasciarsi andare, che la Butterfly deve essere anche commovente. Meno bravo Pinkerton, Giuseppe Varano, ma anche lui avrà tempo per perfezionarsi. D'altronde mi sembra di molto migliorato il direttore Giampaolo Bisanti rispetto a quanto aveva diretto negli anni scorsi.   

Bella la regia di Giulio Ciabatti e le scene e i costumi di Pier Paolo Bisleri, abbastanza giapponesi da godere dell'eleganza del Sol Levante, abbastanza occidentali da mettere a proprio agio. Certo, le italiane possono imitare una giapponese dalla vita in giù, perchè non avranno mai quella camminata (mi' cognata è giappo, so de che parlo); pure lo zio Bonzo conciato da teatro kabuki forse mi era un filino esagerato; ma io ho apprezzato tutti gli atti, anche senza seppuku

Solo un appello. Io non ho problemi, io vedo tutto il palco, ma non mi fate cantare Un bel dì vedremo all'estrema sinistra del palco, pure piuttosto indietro; in un teatro all'italiana, metà della piccionaia è spacciata, sono venuti qui apposta e non vedono una beneamata. 

Finito. Veloce come un battito d'ali, ma non altrettanto delicato.

martedì 13 gennaio 2015

Tre opere in un mese: la Tosca a Genova

Fra pranzi luculliani e acciacchi di stagione, ovviamente non sono riuscita a scrivere il resoconto entro dicembre, però eccovelo.

Tosca, Carlo Felice, 28 dicembre 2014

ToscaMaria Guleghina
Mario CavaradossiRudy Park
ScarpiaCarlos Álvarez
AngelottiGiovanni Battista Parodi
SagrestanoClaudio Ottino
SpolettaEnrico Salsi
SciarroneDavide Mura
Un carceriereCristian Saitta
Un PastorelloFilippo Bogdanovic - Sebastiano Carbone

DirettoreStefano Ranzani
Regia e sceneDavide Livermore
CostumiGianluca Falaschi
Orchestra del Teatro Carlo Felice
Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del CoroPablo Assante
Coro di voci bianche del Teatro Carlo Felice
Maestro del coro di voci biancheGino Tanasini
Nuovo allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova



Il trascinamento annuale dei miei genitori all'opera a questo giro prevede la Tosca! Una volta ero molto più aficionada di musical che di opera, quindi concedetemi il paragone: la Tosca è un po' come il Jesus Christ Superstar; funziona sempre. Ecco perchè ci porto chi melomane non è.
Entro in sala e... e... che odore c'è? sembra di entrare in chiesa... un'opera in odorama!??!?!! Ebbene si, sul palco, a sipario abbassato, sono presenti decine di candele e il naso le percepisce prima degli occhi. Entrare nella giusta atmosfera ancora prima che il sipario si alzi è sempre gradevole.

Anche l'occhio, però vuole la sua parte e non rimane deluso dalla regia e le scene di Davide Livermore. Nel primo atto sul fondale appare la cupola di S. Andrea della Valle (o, almeno, a me sembra proprio quella), che spesso si anima facendo muovere la schiera di santi e nuvole; la Maddalena a cui lavora Cavaradossi ha la bellezza della Penitente di Guido Reni; durante il Te Deum il fondale mostra un Gesù crocefisso che riappare durante la tortura di Mario, orribilmente photoshoppato con rivoli di sangue; a E lucevan le stelle fa da sfondo un bel quadro che mostra una Roma notturna e ottocentesca, che starebbe a bacio anche in un Rugantino. Insomma, iconograficamente c'è carne sul fuoco.

Per tutti e tre gli atti i protagonisti si muoveranno su una struttura inclinata, dall'aspetto vagamente escheriano, che ruotando offre diversi punti di vista dello spazio. La sensazione di precarietà che ne deriva è senza dubbio affascinante, ma le teste degli interpreti sono talvolta a rischio di spatasciarsi contro qualche spigolo e immagino che ci voglia molta concentrazione per cantare al meglio mentre si cerca di salvare l'osso del collo.

Foto rubata dalla pagina Facebook del teatro


Ma, se la struttura è scivolosa, la regia è solida. All'inizio del secondo atto Scarpia entra e, con eleganza, porge mantella e parrucca al suo lacchè. Tiro un sospiro di sollievo: a Como, un paio di anni fa, Scarpia, ugualmente imparruccato alla settecentesca, sbatteva la cofana sul tavolo in un momento di rabbia, in stile Benny Hill.
Più avanti vediamo portare Cavaradossi nella stanza dell'interrogatorio, ovvero nel lato posteriore della struttura inclinata. Per un attimo temo che, grazie alle giravolte della struttura in questione, si vedrà il Nostro ogni volta che canterà e mi inizio ad agitare perchè io aborro quando ti ritrovi a cantare sul palco qualcuno che dovrebbe far arrivare la sua voce da dietro le quinte; mi disturba profondamente. Ma anche questo timore è infondato, giustamente sentiremo i lamenti del bel Mario senza vederlo, così come deve essere, così come lo sente Tosca.

Avevo sperato di beccare Gregory Kunde che debuttava nel ruolo di Cavaradossi, avrei anche sperato di beccare Kunde cantare lo Zecchino d'oro dopo che l'anno scorso mi ero persa l'Otello (maledetta tosse bastarda), ma anche senza Kunde, sono uscita dal teatro più che soddisfatta.
Maria Guleghina è una Tosca perfetta. Era stato annunciato che si esibiva nonostante stesse male, ma non ha sbagliato una nota, non si è mai risparmiata, mai un momento di debolezza fino all'ultima scena. Unico neo i suoi parlati. Non amo molto questi tradizionali parlati (anche se così fan tutte, lo so...), la Guleghina poi deve credere la marcatura della erre come un effetto particolarmente verista: "il prrrrrrrrrrrrrrrrezzo!" E giuro che non ho esagerato. Vi lascio immaginare "tremava tutta Roma". Ma, con la stupenda interpretazione che ci ha regalato, le si perdona questo piccolo vezzo.
Rudy Park l'aveva visto a Como in un bellissimo Ernani dove era stato davvero bravo. Forse la sua voce non è ideale per Cavaradossi, ma comunque una buona interpretazione. Dal secondo atto in poi gli acuti sono stati deboli, temo che la Guleghina non fosse l'unica con la gola in fiamme, ma forse era l'unica con la tecnica per cantare alla perfezione comunque.