martedì 8 dicembre 2015

Un ballo in maschera senza il ballo in maschera

Il 15 aprile 1865 Abraham Lincoln veniva assassinato. Il luogo era il Teatro Ford di Washington. L'assassino era John Wilkes Booth, uno dei più stimati attori dell'epoca. Da tempo cospirava per rapire o uccide il presidente e capì subito che quella sera era la sua occasione. Era in scena Our American Cousine, brillante commedia in cui un ruspante americano incontra i suoi compassati parenti inglesi per rivendicare le sue proprietà. Booth non faceva parte della compagnia che si stava esibendo, ma conosceva bene quel teatro, quasi una seconda casa. Faceva parte di una famiglia di attori, fin dalla nascita sapeva riconoscere il momento in cui l'attenzione degli spettatori è rapita verso il palcoscenico. Infatti quella sera aspettò il climax dello spettacolo, aspettò il monologo del protagonista, dalla irresistibile comicità, entrò nel palco presidenziale e sparò alla testa dell'uomo che riuscì a far abolire la schiavitù negli Stati Uniti d'America. 

Spero di essere stata degna di Carlo Lucarelli nel racconto dell'avvenimento, ma perché l'ho scritto? Tanto per mettere in chiaro che Booth aveva una sensibilità molto più acuta verso il perfetto coupe de theatre rispetto a Nicola Berloffa. Un ballo in maschera del Teatro Sociale è stata una delle regie più fastidiose che abbia visto, dimostrazione che non c'è bisogno di essere provocatori per essere molesti, basta fare le cose ad minchiam canis. Sicuramente la mia scarsa salute di quella sera non ha aiutato ad apprezzare ciò che c'era di buono nella recita, tanto che ho deciso di andarmene alla fine del secondo atto, perdendomi il ballo in maschera. Per questo è inutile fare una recensione vera e propria, ma questo è uno di quei casi in cui le scelte registiche rovinano le performance degli artisti: la scenetta di Lincoln che viene ucciso uccide l'ouverture, Oscar vestit@ per la caccia alla volpe (?!?!?!??) con tanto di frustino orgogliosamente agitato distrae da tutto il resto e Ulrica che fa la maglia mentre invoca Satana concentra l'attenzione sulla sciarpetta della Roma.


IL TRIO Marchesini Solenghi Lopez - ridoppiaggio comico dei film "Quo Vadis" e "Via col vento" from Messer Cappellaio on Vimeo.

Rinuncio quindi a parlare dei cantanti, troppo infastidita per apprezzare chiunque.

sabato 7 novembre 2015

Viaggio in Baviera: la Romantische Strasse

La Romantische Strasse è il percorso turistico più famoso della Germania, si snoda fra boschi, campi coltivati e prati per l'allevamento, arrivando in belle cittadine con case a graticcio e chiese gotiche. Pur non seguendo l'itinerario consigliato, mi sono imbattuta spesso nelle sue tappe. Ecco quelle imperdibili.

Schwangau è uno dei paesi più turistici della Germania, visto che da qui partono le visite per il fiabesco castello di Neuschwanstein. Ne avevamo già parlato sia per quanto riguarda le sue romantiche vedute, sia per la possibilità che il paese offre di fare passeggiate di varie difficoltà nei boschi amati da Ludwig II.

Chiesa dall'Abbazia dei Canonici Agostiniani di Rottenbuch.
Particolare del transetto. 
Rottenbuch non è un paesino attraente, ma la chiesa dell'Abbazia dei Canonici Agostiniani è un gioiello da non perdere. I lavori di rinnovo fatti da Joseph e Franz Xaver Schmuzer la rendono un capolavoro assoluto dell'arte rococò: stucchi bianchi e dorati incorniciano gli affreschi di Matthäus Günther e le pareti rosa della chiesa in un horror vacui ispirato. La sosta è consigliatissima, anche a chi non ama il rococò; potreste ricredervi. 

Nördlingen e Dinkelsbühl sono due bei paesi medievali, ideali per una bella passeggiata. Dinkelsbühl gode di un centro storico fra i più belli della Germania, mentre Nördlingen ha la particolarità di sorgere al centro di una valle creata da un enorme asteroide caduto sulla terra 15 milioni di anni fa. Geologicamente la valle quindi è molto particolare, ma ormai la forma del cratere non è più visibile nemmeno salendo sul campanile della chiesa di S. Giorgio, da cui comunque si gode di un bel panorama.

Rothenburg ob der Tauber è il tipico paese tedesco medievale, proprio quello fotografato su tutte le guide e le cartoline (esistono ancora!). In effetti è davvero molto bello e il massiccio turismo non disturba più di tanto, sarà che invece dei soliti negozi di souvernir Rothenburg si è specializzato in negozi di giocattoli (ne avevamo già parlato qua). Non mancano attrazioni più adulte, la chiesa di S. Giacomo custodisce alcuni capolavori dell'arte lignea, fra cui lo splendido Altare del Sacro Sangue di Tilman Riemenschneider.

Altro capolavoro dello stesso autore, l'Altare della Vergine Maria, vale da solo la sosta a Creglingen, dove però è quasi più segnalato il Museo dei Ditali. Evidentemente esistono appassionati.

Würzburg è l'ultima tappa ufficiale della Romantische Strasse e anche l'ultima tappa qui consigliata. Della bellezza della città ne avevamo già parlato qua

mercoledì 4 novembre 2015

Viaggio in Baviera e dintorni: pale d'altare e capolavori lignei

Esistono posti, in Germania, che vale la pena raggiungere anche solo per ammirare degli splendidi capolavori all'interno delle chiese.

Stalli del Coro nel Duomo Di Ulm, lato delle Sibille
Immagine rubata da qui
Ulm (Ulma in italiano) è una cittadina non troppo bella, le cui attrattive turistiche sono l'ex quartiere dei pescatori, pieno di locali notturni ma un po' smorto di giorno, e il maestoso duomo, orgoglio cittadino. La sua torre fu progettata nel Medioevo ma portata a termine solo nel 1890 ed è tuttora la torre più alta d'Europa (161, 53 metri). Sebbene sia indubbiamente possente devo dire che la cattedrale non mi è particolarmente piaciuta, forse perchè manca della longilinea eleganza di altre chiese gotiche. 
Quello di cui mi sono innamorata è invece il coro, opera di Jörg Syrlin il Vecchio, che si è probabilmente ritratto nell'anonimo busto che è posto all'inizio della fila di scranni rappresentati figure maschili. Infatti gli 89 scranni, intagliati in legno di rovere, sono divisi in due lati, uno rappresenta gli uomini illustri della classicità, mentre l'altro raffigura diverse Sibille. La prima di queste avrebbe le fattezze della moglie di Syrlin. Ma gli splendidi busti non sono l'unica cosa da ammirare: il coro è costruito su un'infinita teoria di guglie, cariatidi e rilievi raffiguranti figure umane, animali, mostri e mostricilli. Davvero l'opportunità di ammirare una cattedrale gotica in miniatura.

Creiglingen è un ridente paesino sul fiume Tauber. Non so quanti lo visitino, perchè si può andare diretti alla Herrgottskirche, fuori città, che sorge in mezzo a un romantico cimitero. Qui dentro c'è forse il più grande capolavoro dell'arte lignea tedesca: l'altare dedicato alla Madonna creato da Tilman Riemenschneider agli inizi del XI secolo.
Altare della Vergine Maria, particolare dell'Assunzione della Vergine
Immagine rubata da qui
Quasi fuori scala per una chiesa così piccola, la raffinata struttura gotica del retablo si innalza con pinnacoli e arabeschi. Nella tradizione dei Flügelaltäre, la scena centrale (l'Assunzione della Vergine) è raffigurata a tutto tondo, mentre ante e predella rappresentano scene della vita di Maria con figure in rilievo. La scelta di non dipingere la pala, ma lasciare il legno col suo colore naturale, rivela un gusto rinascimentale, riscontrabile anche nella composizione delle figure. Anche qui si nasconde l'autoritratto dell'autore, sebbene più discreto di Syrlin: è l'uomo ai piedi del giovane Gesù nella scena raffigurante il ritrovamento al Tempio. 
Il momento migliore in cui godere di tanta bellezza sembra essere il 15 agosto, quando la Vergine assunta in cielo viene illuminata dalla luce del sole che entra dalle finestre.

Riemenschneider è un personaggio storico molto interessante. Affiancando la carriera politica a quella artistica, divenne Borgomastro di Würzburg nel 1520. Prese le parti dei rivoltosi nella cosiddetta Guerra dei Contadini del 1525 e dopo la sconfitta di questi, venne imprigionato e torturato; subì la confisca di tutti i suoi beni e una damnatio memoriae che durò secoli, fino alla riscoperta del suo genio artistico nel XIX secolo.

L'altro suo grande capolavoro è considerato l'Altare del Sacro Sangue, nella chiesa di S. Giacomo a Rothenburg ob der Tauber. Questa splendida opera custodisce la reliquia del Preziosissimo Sangue di Gesù, posta nell'ampolla al centro della croce che due angeli reggono nel punto di raccordo fra la sottostante scena principale (l'Ultima Cena) e la sommità del retablo col Cristo Sofferente.
Nella stessa chiesa sono custodite altre belle pale d'altare, che però vi consiglio di vedere prima, altrimenti non reggono il confronto.

Particolare dell'Altare del Sacro Sangue
Immagine rubata da visual-arts-cork.com

Per ammirare uno dei più grandi capolavori dell'arte tedesca (e mondiale) bisogna passare oltre gli attuali confini della Germania e andare a Colmar, nell'Alsazia. Qui, nel Musée d'Unterlinden, è conservato l'Altare di Isenheim di Matthias Grünewald. Meritando un post tutto per lui, qui lo nomino solo, in modo che gli appassionati d'arte che girano la Germania non si scordino della sua esistenza solo perchè si trova in terra francese.

Particolare dell'Altare di Isenheim
Immagine rubata da wikiart.org

sabato 31 ottobre 2015

Dintorni della Baviera: le mete più scenografiche

Dopo il podio bavarese, ecco altre interessanti mete "da cartolina", questa volta nel Baden-Württemberg.

Schwabisch Hall si trova, come il nome orgogliosamente ricorda, nella regione storica della Svevia (Schwaben). Il pezzo forte della città è la maestosa piazza del mercato, così scenografica da servire spesso come sfondo per opere teatrali. La piazza si sviluppa in salita, circondata da case a graticcio e edifici barocchi, convergendo prospetticamente verso la lunghissima scalinata della chiesa di Sankt Michael.

Il teatro all'aperto di Schwabish Hall, dal sito www.stuttgart-tourist.de

D'altronde la vocazione teatrale della città, oltre che da una fedele copia del Globe londinese, è testimoniata dal teatro dei burattini e perfino da degli spettacolini di automi, posti qua e là nelle edicole della città; ce n'è anche uno nella casa del boia, a metà del Henkersbrücke.
Noi siamo capitati di domenica, quando tutti i negozi erano chiusi, ma la città era comunque molto viva, con orde di persone riversati nelle gelaterie e lungo la passeggiata dai ponti di legno sul fiume Kacher , da cui si gode una bella vista sul centro storico.

Rovine del castello di Staufen

Piccola e graziosa è Staufen, al confine con la Francia, dove la birra non è amata quanto il buon vino locale. La passeggiata in città è piacevole, anche perchè, come Friburgo, gli antichi canali di scolo all'aperto rinfrescano l'ambiente. Scenografico il castello diroccato in mezzo alle vigne, che domina la cittadina. Va bene, non varrà una deviazione, ma se si è nei dintorni è molto consigliata. 

Castello di Heidelberg, cortile interno

La splendida Heidelberg è la regina degli scorci da cartolina: il castello domina la città, adagiata lungo il fiume Neckar. Il castello non a caso mandava in brodo di giuggiole gli artisti romantici, primo fra tutti Goethe: imponenti bastioni distrutti da bombardamenti, raffinate facciate tardo-rinascimentali in arenaria rosa che si stagliano contro il cielo azzurro, armoniosi giardini terrazzati.
La funicolare, compresa nel prezzo del biglietto del castello, in pochi minuti porta in città, che gode di quella vivacità tipica delle città univesitarie di tutto il mondo (è sede della più antica università della Germania). Ma la funicolare porta anche più in alto del castello, lungo il Königstuhl, da cui si può ammirare il castello dall'alto.

Il castello di Heidelberg visto dalla città

giovedì 29 ottobre 2015

É nostra patria Genova

Simon Boccanegra, Carlo Felice, 25 ottobre 2015

Simon BoccanegraFranco Vassallo
AmeliaBenedetta Torre
Gabriele AdornoGianluca Terranova
FiescoMarco Spotti
Paolo AlbianiGianfranco Montresor
PietroJohn Paul Huckle

DirettoreStefano Ranzani
Regia e sceneAndrea De Rosa
AllestimentoFondazione Teatro La Fenice - Fondazione Teatro Carlo Felice
Maestro del coroPablo Assante
Coro Teatro Carlo Felice
Orchestra Teatro Carlo Felice

L'opera ambientata a Genova, allestita a Genova. Ovvio che il mio spirito corsaro mi riporti a Genova.

Regia che sceglie di mettere in scena i due elementi essenziali ma eterei dell'opera: Maria e il mare. Maria è un angelo bianco che appare in scena per vegliare su Amelia e Simone; il mare è un video proiettato sull'intera quinta, incombente su tutte le scene. Bello assai, ma non dà la sensazione di essere a Genova, non fra quei quartieri dove l'opera per buona parte è ambientata. Verdi lì abitava e ha fatto in modo che il mare sia così come lo si vive nei caruggi: presenza costante ma semi-invisibile. Suprema poesia per il mio cuoricino genovese, il mare, dentro le mura, si intravede solo nei piani alti del Palazzo Ducale, destinatario dell'estremo, solitario sfogo di Simone. So che invece avere il mare sempre davanti al naso è una scelta condivisa da molte produzioni differenti, ma è lontana dal mio modo di sentire. 
Per il resto il palcoscenico era dominato da un rettangolone kubrickiano, nero e imponente, che di atto in atto, con poche modifiche minimaliste, si trasformava nei vari palazzi. Gusto minimalista anche per i costumi. Tutti vestiti di nero, con i capelli lunghi e bianchi e dalla voce di baritono o basso... fortuna che conoscevo l'opera, perchè se mi fossi dovuto fidare dei miei sensi, dalla mia postazione in piccionaia, avrei fatto molta fatica a distinguere chi stava cantando. E forse non sono scampata a questo tranello, temo di aver applaudito più Paolo che Fiesco, quando avrei voluto fare il contrario.

Immagine rubata dal sito dell'Ansa

Temo che il cast artistico sia cambiato tre o quattro volte nel giro di un mese. Poco male per me, che ho scoperto in Franco Vassallo un Boccanegra da leccarsi i baffi. Alla fine gli ho urlato un sonoro e sentito braaavooo, ma se sapevo che era al suo repentino debutto nel ruolo gliene urlavo anche cinque o sei. Anche Marco Spotti, splendida voce, è stato un Fiesco di tutto rispetto; forse all'inizio uno spirito non troppo lacerato, ma poi altero e vendicativo così come dev'essere. Spicca su tutti però Gianluca Terranova, eroico Adorno, dalla voce squillante e dal temperamento... come dire... novecentesco, ecco! E comunque più gente c'era sul palco più le cose funzionavano, non a caso il concertato della scena del senato è stato applauditissimo per diversi minuti. 
Qualche scivolone nella direzione di Stefano Ranzani sembra abbia infastidito solo me.

Anatema finale sulla signora fra il pubblico che, dopo un lungo cambio scena, decide di scartare una caramella all'inizio dell'aria di Amelia. Io dico scartare una caramella perchè voglio essere razionale, in realtà il rumore che faceva è stato registrato dal mio cervello come l'inconfondibile struscio sulla confezione dei biscotti lagaccio quando fai colazione la mattina. 


domenica 25 ottobre 2015

Baviera: le mete più scenografiche

Per chi è alla ricerca dello perfetta immagine da cartolina (che saranno banali, ma funzionano sempre) queste sono le mete imperdibili in Baviera.

Bamberga è stata la città che forse mi è piaciuta di più. Bellissima la cattedrale, nella scenografica piazza davanti alla Residenz. Dentro alla Residenz stessa invece si trova il bel Giardino delle Rose con vista panoramica sulla città e sulla gotica Abbazia del Monte S. Michele.
Bamberga: Vecchio Municipio e Piccola Venezia
In giro per la Germania è facile imbattersi in varie "piccole Venezie", ovvero vecchi quartieri dei pescatori, dove le case sono costruite direttamente sul fiume. Per la Kleine Venedig di Bamberga il paragone è pur sempre un po' sprecato, ma forse è la più graziosa di tutte, sicuramente quella che ci è piaciuta di più, anche perché abbiamo sbagliato strada e invece della solita vista dal ponte del Vecchio Municipio ci siamo goduti quella frontale direttamente dall'altra sponda, ma anche perché è l'unica dove abbiamo visto veri lavoratori che usano vere imbarcazioni per muoversi. Il Vecchio Municipio, isolotto a cui si accede da due ponti, con una sontuosa facciata in barocchissimo trompe d'oeil e balcone a graticcio è l'immagine da cartolina che rappresenta perfettamente le città della Germania meridionale (e non a caso l'ho usata per aprire i post dedicati a questo viaggio). 
Altre mete cittadine consigliate: la Obere Pfarrkirche, la Parrocchia Superiore, che custodisce una bellissima Assunzione di Maria di Tintoretto e la birreria Schlenkerla, la cui specialità è la birra affumicata, da gustare nel dehor (che passeggini e sedie a rotelle farebbero meglio a raggiungere da dietro, alle spalle della chiesetta adiacente al locale), ma se volete comprare delle bottiglie fatelo al supermercato, il prezzo è la metà di quello proposto in birreria.  


La Residenz di Würzburg
Immagine tratta dal sito ufficiale
Se vi piace l'arte veneziana poi non dovreste perdervi Würzburg. La sua Residenz, una simil-Versailles patrimonio dell'UNESCO, vanta maestosi saloni affrescati da Giovanni Battista e Giandomenico Tiepolo in un tripudio di nuvole, trompe d'oeil e schiere di personaggi fra i più variopinti fra quelli dipinti dai due artisti (che di schiere variopinte si intendevano).
La bella Fortezza di Marienberg domina la città da una collina sull'altra sponda del fiume, da qui si gode di una bella vista su Würzburg e sui colli ricoperti da vigneti. Si perché qui dovete scordarvi la birra bavarese e gustarvi il vino della zona. Consiglio la Weinstube Burgerspital, in centro città; la signora che ci ha servito parlava un buon italiano e ci ha guidato nella scelta dei vini per accompagnare i buoni piatti locali.

Giardini di Linderhof
La regina di tutte le vedute scenografiche è Neuschwainstein, appollaiato sul suo sperone di roccia e dalle svettanti torri disneyane. E anche le vedute DAL castello e i suoi dintorni non scherzano, col castello di Hohenschwangau, i laghi e le montagne, magari incorniciate da qualche goticheggiante trifora. Se questo è la più scenografica delle follie volute da Ludwig II non bisogna dimenticare le altre sue residenze in giro per la Baviera, che l'eccentrico re andava in brodo di giuggiole per le vedute romantiche, meglio se accompagnate da sfarzo barocco. Io ho visitato Linderhof, il cui "castello" è un piccolo scrigno dalle poche, pompose stanze, incorniciato da giardini compulsivamente geometrici, a loro volta circondati da un grande parco che nasconde otto padiglioni, dal gusto vagamente pacchiano, che spaziano dallo stile moresco alla capanna di Hunding, quella dove si svolge il primo atto della Valchiria di Wagner. Il più famoso dei padiglioni è però la wagneriana Grotta di Venere, ispirata al Tannhäuser: è forse la cosa più kitsch al mondo dopo Las Vegas, ma piace un sacco. 

mercoledì 7 ottobre 2015

Ora si che io son contenta

Le nozze di Figaro, Teatro Sociale di Como, 26 settembre 2015

FigaroAndrea Porta
SusannaLucrezia Drei
ContessaFederica Lombardi
ConteVincenzo Nizzardo
CherubinoCecilia Bernini
BartoloFrancesco Milanese
MarcellinaMarigona Qerkezi
BasilioMatteo Macchioni
BarbarinaGiulia Bolcato
AntonioCarlo Checchi

DirettoreStefano Montanari
RegiaMario Martone ripresa da Raffaele Di Florio
AllestimentoTeatro San Carlo di Napoli
Maestro del coroDario Grandini
Coro OperaLombardia
Orchestra de I Pomeriggi Musicali di Milano

Allestimento tradizionale per l'apertura della stagione operistica del Sociale a Como, dopo il Don Giovanni SUV munito dell'anno scorso ci voleva una purificazione mozartiana a base di cuffiette per la notte e jabot.
Palcoscenico che prosegue anche ai lati della buca dell'orchestra e che porta gli interpreti spesso in platea. Pubblico divertito e coinvolto, impossibile però non notare in barcaccia un bambino sull'orlo della catalessi e della crisi d'astinenza da Gormiti; bravo Andrea Porta-Figaro a coinvolgerlo in vari modi, quando si è fatto dare un bacino dopo uno dei tanti schiaffi che il povero Figaro si piglia durante la "folle giornata" ha sparso tenerezza per l'intero teatro.

Ouverture un po' troppo heavy metal, ma d'altronde il direttore è vestito per andare ad un concerto degli Iron Maiden, quindi ci sta. D'altronde avevo letto che Montanari fosse eclettico e direi che è pure un eufemismo, visto che oltre a dirigere suona il clavicembalo per accompagnare i recitativi (mettendosi la bacchetta infilata fra la schiena e la maglietta).
Tutti bravi gli interpreti, performance canore e attoriali senza sbavature. Menzioni d'onore per la verve di Andrea Porta, per la toccante Federica Lombardi-Contessa, e l'azzeccatissima interpretazione di Cecilia Bernini-Cherubino, che si becca i primi applausi a scena aperta della serata. 

Applausi lunghi e meritati alla fine, con Montanari che entra in scena senza aspettare che Susanna lo andasse a prendere. D'altronde, se non si fosse capito, la primadonna era sicuramente lui. 

martedì 8 settembre 2015

Viaggio in Baviera: l'Aida a Bayreuth

Aida al Fiestspielhaus di Bayreuth :)
E cosa l'ho portata a fare mia figlia Aida a Bayreuth se poi non posso fare questi titoloni sensazionali? :p

Scemenze a parte, la nostra permanenza a Bayreuth è stata davvero piacevole; abbiamo fatto una passeggiata nelle due strade principali, ci siamo fermati in un po' di negozi (fra cui il discount Norma, ma eviterò altre battute), ci siamo concessi birra e caffè ghiacciato in un paio di ombreggiati dehors e abbiamo mangiato al sacco nel Hofgarten, graziossissimo parco alle spalle della Wahnfried.
L'aspetto della città differisce molto da quello delle altre tappe della vacanza, infatti la volontà della margravia Guglielmina di rendere Bayreuth un centro culturale di prim'ordine ha reso la sua architettura un raffinato modello di città settecentesca: dimenticatevi le solite medievaleggianti case a graticcio e godetevi l'atmosfera signorile. Il lascito più importante della margravia è lo splendido Markgräfliches Opernhaus, nel centro cittadino, quintessenza del teatro rococò, patrimonio dell'UNESCO, una vera meraviglia dove è possibile assistere a concerti di musica barocca.

Però Bayreuth è soprattutto la città di Richard Wagner. Siamo capitati da quelle parti una settimana prima dell'inizio del Festival wagneriano, quando tutti i melomani del mondo sono in piena agitazione e credevo che la città fosse piena di cartelloni e striscioni, invece tutto taceva, anche di fronte al Fiestsplielhaus. Se penso che con Sanremo iniziano ad asfaltare le gonadi a l'Italia intera verso novembre... In compenso tutta la città è piena di discreti podi con una simpatica statuetta di Wagner nell'atto di dirigere l'orchestra, ognuno dedicato ad un artista che ha contribuito alla grandezza del Festival e della musica del Maestro.
Ricordo per esempio Siegfried Jerusalem proprio davanti alla Wahnfried, la casa-museo che non sono riuscita a visitare perché chiusa per restauri (che amarezza!).
All'incrocio principale di Bayreuth si trovano poi cartelli che segnalano la distanza da varie città in giro per il mondo. Ignoro le altre, ma penso che La Spezia si trovi lì perché il Nostro iniziò il preludio dell'Oro del Reno in una taverna spezzina e la connessione mi piace molto, moltissimo.
Degna fine del pellegrinaggio wagneriano è ovviamente al Fiestspielhaus, dove non è possibile entrare, ma nel parco che circonda il teatro ci sono pannelli dedicati ai primi gloriosi interpreti del Festival, compresi quelli voluti dalla simpatica Cosima che li preferiva meno bravi purchè non ebrei.

Enjoy Bayreuth! :)

sabato 29 agosto 2015

Viaggio in Baviera (e dintorni): trekking ciabattone

Trekking si, ma super-ciabattone: già noi non siamo la coppia più atletica del mondo, aggiungici la mancanza di allenamento e il dolce peso della pupa sulle spalle e si capisce perché le nostre passeggiate, in questa vacanza, siano state così soft.

L'Algäu è proprio un bel posto dove fare trekking coi bambini, pieno di tanti sentieri che si snodano fra dolci colline, ma anche tante piste ciclabili dove anche i più piccoli possono dare due pedalate. Volevamo fare una passeggiata nei dintorni della nostra casetta, a Missen-Wilhams, ma alla fine il cattivo tempo ci ha messo i bastoni fra le ruote e abbiamo dovuto rinunciare.

Non abbiamo neppure avuto modo di esplorare nei dintorni di Diepolz, ma evidentemente è pieno di sentieri adatti per i  bambini, perché gli unici esseri umani che si vedevano in giro erano famigliole con scarpe da trekking ai piedi. Mal che vada, come abbiamo fatto noi, ci si può fermare qui per comprare del formaggio buonissimo.

Il castello di Neuschwainstein visto dal Marienbrücke

Al castello di Neuschwainstein ci si arriva a piedi, dopo aver parcheggiato al paese di Schwangau, ai piedi del castello di Hohenschwangau. La strada più facile è quella larga che fanno anche le carrozze con cavalli, ma ci sono anche sentierini che passano per il bosco e che prima o poi fluiscono nella strada principale. Oltre il Marienbrücke (ponte di Maria), se riuscite a sopravvivere alla folla, partono i veri e propri sentieri che, in splendida pace e silenzio, portano a vari punti panoramici con vista sul castello dall'alto, ma che proseguono verso il monte Tegelberg. Noi siamo tornati indietro abbastanza presto, nonostante la voglia di immergerci nella bolgia infernale fosse poca, quindi non so dire come prosegue il percorso, ma ai primi punti panoramici ci si arriva piuttosto facilmente, anche se non sono quelli "ufficiali" ed è ben segnalato il pericolo di caduta (cosa che, ovviamente, non fa desistere il turista in infradito in cerca dello scorcio perfetto).

Una passeggiata che si può tranquillamente fare pure in passeggino e infradito nei dintorni del castello è quella attorno all'Alpsee. Quasi tutti i turisti rimangono all'inizio del sentiero a schiamazzare e dopo pochi metri, sulla costa sinistra, si può godere di una pacifica passeggiata fra il bosco e il lago. Noi siamo arrivati fino allo stabilimento balneare, che magari non sarà il massimo come balneazione, ma lo è sicuramente come tranquillità. Se ben ricordo ci si arriva in neanche 20 minuti, mentre per circoscrivere tutto il lago ci vuole un'oretta e probabilmente ne vale la pena, visto che non mancano scorci sulle montagne e sui castelli.

Sentieri sul crinale del Monte Hochgrat

Altra gita molto bella quella sul Monte Hochgrat, scelta per il bieco motivo del minor costo della funivia (in realtà un'ovovia un po' vecchiotta). Alcuni si fermano appena arrivati perché il rifugio è attaccato alla funivia e appena usciti c'è un piccolo parco giochi con alcuni tavoli da pic nic, comunque la maggior parte delle persone fa almeno la passeggiata fino alla cima: per la via più breve (circa mezz'ora) si sale per una scalinata molto ripida ricavata dalla roccia e per chi è "alto" come me (1.58) i bastoni sono ESSENZIALI, altrimenti l'unico modo per farcela è... gattonando! Fortemente consigliati anche per chi è più alto... mai visti solchi da bastoni così profondi, segno che tutti li usano con profitto!!
Comunque si può arrivare in cima anche attraverso una sentiero molto più dolce, che teoricamente serve da strada di ritorno e che non è molto più lungo. 

L'ultima gita in scarponi che abbiamo fatto è stata nella Foresta Nera, ma è stata un po' una delusione. Avevamo letto che alle cascate di Triberg ci si poteva arrivare per vari sentieri; in realtà non c'è poi molto da camminare e pure le cascate non sono particolarmente spettacolari, non ci sembra valgano il prezzo del biglietto (6 euro).

lunedì 24 agosto 2015

Vacanze in Baviera (e dintorni): in giro con i pupi

Andare in giro con i pupi in Germania è roba che noi umani non possiamo neanche immaginare. Niente buche sui marciapiedi, fasciatoio quasi sempre presente nei bagni sia delle donne che degli uomini , ristoranti sempre attrezzati con seggiolone e menu per bambini (dalle porzioni esagerate, ma dai prezzi stracciati).

Si deve però tenere in considerazione che in molti edifici storici è vietato entrare sia col passeggino che con lo zaino portabebè e similia, bisogna quindi rinunciare alla visita o metterci il doppio del tempo, dovendo entrare un genitore alla volta.
Alcune residenze storiche dove sono sicura NON si possa entrare sono

  • Neuschawnstein
  • Hohenschwangau
  • la Residenz di Würzburg

Uno delle decine di negozi di giocattoli
a  Rothenburg on der Tauber
Per i bimbi più grandi la Germania potrebbe essere il Paese della Cuccagna, visto che qui nascono molti giochi e svaghi che riempono le nostre case, dalla Playmobil (il parco dei divertimenti a tema è vicino a Norimberga) alla Ravensburger (il museo è ovviamente a Ravensburg). D'altronde fra le passioni nazionali io metterei i parchi a tema (uno su tutti quello della Lego) e gli onnipresenti negozi di Käthe Wohlfahrt. Il più grande fra questi si trova nell'adorabile cittadina di Rothenburg on der Tauber, dove credo ci siano più negozi di giocattoli che abitanti.
Molti edifici in Germania ispirano atmosfere fiabesche, dalle casette a graticcio ai castelli di Ludwig, ma se le cose vanno fatte per bene allora bisogna seguire la Strada tedesca delle fiabe, che ripercorre vita e luoghi di ispirazione dei fratelli Grimm, ma che strizza l'occhio anche ad altre celebri favole; il percorso ideale nel caso il vostro gatto portasse gli stivali! 

Unico neo della vostra vacanza con gli gnometti è che le famigliole tedesche sono molto più riservate di quelle italiane. Mia figlia di 15 mesi ha sempre zampettato felice verso i biondissimi bimbi che vedeva in giro e ha spesso trovato indifferenza, se non fastidio, sia da parte dei pargoli che dei genitori. Anche altri genitori italiani mi hanno confessato di aver avuto la stessa esperienza non molto piacevole. Ovviamente questi rifiuti non sono in grado di rovinare la vacanza e mi sembra pure giusto adeguarsi alla loro riservatezza, però è meglio essere preparati, anche per apprezzare le famiglie più socievoli. 

lunedì 17 agosto 2015

Vacanze in Baviera, qualche lettura

Iniziamo (e speriamo di aver tempo di finire) il racconto delle recenti vacanze in Baviera. Prima di buttarci nel viaggio è giusto leggere qualcosina.

Altes Rathaus di Bamberga
La guida ufficiale della vacanza di questa estate è stata Germania del Sud di Gordon MacLachlan, edito da Rough Guides, presa in biblioteca a scatola chiusa. Di solito ci troviamo bene con le guide di questa casa editrice, ma la Germania prende la sufficienza scarsa: difficile trovare i monumenti sulle cartine, fortemente esagerate le dichiarazioni di bellezza o unicità dei vari luoghi, forse adatto per chi viaggia in treno, ma inutile per chi viaggia in auto.

Per fortuna avevo già programmato il viaggio basandomi sulle utilissime informazioni fornite da tuttobaviera.it, sito fondamentale per chiunque voglia fare una vacanza da quelle parti, anche perché aggiornatissimo con le date precise di feste e manifestazioni e consigli preziosi dal cibo alle letture.

Proprio spulciando fra le letture consigliate ho deciso di portarmi in viaggio Parsifal e l'Incantatore di Nicola Montez che racconta dell'affascinante rapporto fra Ludwig II e Wagner. Essendo Montez musicologo e wagneriano, è ovvio che il libro si sofferma più sulla figura del compositore e del suo entourage, ma non per questo si parteggia per lui; l'autore anzi sa ben vedere difetti e miserie della sgangherata famiglia Wagner/Bulow, raccontandone le vicende anche con una certa ironia. Insomma un saggio ben documentato ma leggero come un romanzo, consigliato!

martedì 2 giugno 2015

L'alba dell'ultimo giorno di Billy Budd

Mai stata così in ritardo, ma lo sapete, aspiro al Guiness. 

Billy Budd, Carlo Felice, 18 aprile 2015

Billy BuddValdis Jansons
Edward Fairfax Vere - capitanoPatrick Vogel
John Claggart- Maestro d'armiHector Guedes
Mr. Redburn - primo tenenteChristopher Robertson
Mr. Flint - ufficiale di navigazioneMansoo Kim
Ratcliffe - tenenteSimon Lim
Red Whiskers - marinaio arruolato a forzaMarcello Nardis
Donald - marinaioDaniele Piscopo
DanskerJohn Paul Huckle

DirettoreAndrea Battistoni
Regia e costumiDavide Livermore
SceneTiziano Santi
Light designerAndrea Anfossi - realizzato da Luciano Novelli
AllestimentoTeatro Regio di Torino
Maestro del coroPablo Assante
Maestro del coro delle voci biancheGino Tanasini
Coro del Teatro Carlo Felice e Coro del Teatro Nacional de São Carlos di Lisbona
Coro delle voci bianche del Teatro Carlo Felice
Orchestra del Teatro Carlo Felice

Premessa: io ho la fobia di qualsiasi cosa assomigli a una scala a pioli o un ponte tibetano, capirete quindi in quale stato di puro terrore mi gettino le parole "gabbiere di parrocchetto". Nonostante questo, ho atteso il Billy Budd di Genova con somma trepidazione ed è facile capire perché: storia raccontata da Melville, musicata da Britten, sottili pulsioni omoerotiche e 50 sfumature di voce maschile con l'Innocenza rappresentata da, rullo di tamburi, un baritono. E chi m'ammazza? Non di certo un parrocchetto.

Le poche pagine del racconto di Melville sono splendide, hanno qualcosa di biblico e trasformano camera tua, l'autobus o qualunque altro luogo dove stai leggendo in un vascello in mare aperto. Insomma, avevo detto tutto scrivendo "Melville".
L'inizio del racconto per me è stato folgorante: un Bel Marinaio dalla pelle color ebano con il codazzo di marinaretti dietro. L'ho conosciuto, una decina di anni fa al porto di Genova, ha cercato di abbordarmi (mestiere suo) e i colleghi meno aitanti stavano dietro a vedere che combinava (ovvero se avevo amiche altrettanto abbordabili). Com'è possibile che Melville e io, a secoli di distanza, abbiamo conosciuto lo stesso uomo? Il mio bel marinaio era sceso dall'Olandese Volante? Potere dei topos, che il Nostro maneggia così bene.

Tornando all'opera: Valdis Jansons, torace muscoloso e smagliante sorriso, aveva decisamente il physique du rôle del Bel Marinaio. E, cosa più importante, una voce virilmente baritonale, con la freschezza della giovane età, ma in grado di affrontare il ruolo da primadonna. 

Starry Vere è un ruolo mica facile da portare a casa. Intanto perchè è stato scritto per Pears, per la sua voce imperfetta ed emozionante. Poi perchè unisce alla solitudine del comando tutta l'ambiguità di Ponzio Pilato; è amato dai suoi uomini, ma non sa salvare il migliore fra loro. Unico testimone di un omicidio pateticamente colposo, condanna un innocente per mantenere il comando. Era suo dovere di capitano, ma qual era il suo dovere di essere umano? Patrick Vogel il ruolo se lo porta a casa e devo ammettere che mi aspettavo più applausi alla fine. 

Claggart non è il Brutto che invidia la Bellezza. Melville lo specifica più volte: Claggart ha bei lineamenti, non si tratta della cozza che invidia la miss. Claggart è il Potere, per la precisione il potere di uno sbirro. Se il tuo ruolo è mantenere l'ordine, non sopporterai qualsiasi spontaneità e bellezza, perché ce ne vogliono tante di manganellate per contrastare ciò che nasce nei cuori al cospetto di Spontaneità e Bellezza. Soprattutto se il primo cuore a cedere è quello dello sbirro stesso. Hector Guedes forse non è entrato del tutto nel ruolo, ma anche lui bella voce e buona esecuzione. 

Foto rubata dalla pagina Facebook del Teatro

Stupirà vederlo scritto da me, ma per certi particolari posti, sono favorevole al bando di ogni essere femminile. Questi certi particolari posti si riducono al Monte Athos e al palcoscenico di Billy Budd, che per quanto mi riguarda, non dovrebbe avere voci femminili nemmeno fra le voci bianche.
A parte questa mia mania, bravi tutti.
Direzione di Andrea Battistoni degna della splendida musica. Regia di Davide Livermore ottima, impianto scenico che aveva la potenza di portarti in mezzo all'oceano proprio come il racconto di Melville. 

A quanto pare Britten è ancora considerato troppo contemporaneo fra i melomani e il pubblico del Carlo Felice si è diviso fra chi era in brodo di giuggiole (eccomi!) e chi considerava Billy Budd "una vera schifezza" (sentito con le mie orecchiuzze sante).
Le signore vicino a me, alla fine del primo atto, si lamentavano che non ci fossero romanze. Spero abbiano trovato di loro gradimento la ballata di Billy, spero che abbiano sentito tutta l'angoscia delle viscide alghe che si attorcigliano al suo giovane corpo, spero che abbiano toccato la pena di ogni condannato a morte, il dramma di ogni innocente trascinato negli abissi.

venerdì 29 maggio 2015

Villa Melzi col passeggino

Mi sto accorgendo che andare in giro col passeggino può costare fatica, molta fatica. Magari qualche consiglio per scampagnate con pupetti può essere utile, tanto più che anche chi ha disabilità motoria può prendere qualche spunto.



Villa Melzi, a Bellagio, è una dimora storica circondata da bellissimi giardini che si affacciano direttamente sul lago. Noi, contando tutte le fotografie in mezzo alle azalee e la merenda della marmocchia, ci siamo stati due ore buone.
Gli adulti pagano 6,5 euro e possono entrare anche i cani, purché al guinzaglio. Trovate tutte le informazioni sul sito ufficiale

Le regine del parco sono camelie in primis e poi le azalee, quindi scegliete il periodo della visita in base alla loro fioritura, verso aprile potreste trovare ancora le camelie in fiore e le azalee che iniziano a sbocciare; nessuna delle due sarà al massimo dello splendore, ma almeno ve le godete entrambe.



Praticamente non c'è nessun problema a portare il passeggino in giro per il parco, ma per passeggini più delicati sconsiglio il percorso sull'acciottolato perché può diventare faticoso e comunque non vi perderete di certo il clou della vegetazione rinunciando a questi sentieri che solitamente vanno verso i cespuglioni potati ad arte, belli, ma non abbastanza per fare una fatica bestia. 

Nell'ultima visita non abbiamo girato in paese, ma se ben ricordo si può fare un giro senza complicazioni di scalette forzate, sicuramente si può girare senza pericolo delle auto. Anche se tutti vanno verso il punto in cui i tre rami del lago si incrociano ricordatevi che non è nulla di trascendentale, mentre molto bella è la Basilica di S. Giacomo, splendido esempio di architettura romanica.
Ho visto che nei bagni del parchiggino all'inizio del paese c'è il simbolo del fasciatoio, ma non avendone avuto bisogno non so dirvi com'è.

La vista su Bellagio fra un tornante e l'altro

Per arrivare sono molto belle le strade che seguono il lago, ma quella che collega Bellagio a Lecco, sebbene decisamente suggestiva, in alcuni punti è così stretta e densa di curve cieche che mette in ansia pure me, che essendo una ligure che vive sul lago guido SOLO in strade strette e piene di curve! :) Se siete il tipico automobilista di pianura, magari col macchinone, tenetene conto. Comunque anche la strada che va verso Erba è da tenere in considerazione. il tratto da Bellagio al Ghisallo ha molti tornanti, ma larghi e con la possibilità di vedere chi arriva. Il panorama è molto bello, soprattutto consiglio la sosta a Civenna, in piazzale S. Rocco c'è un parchetto da cui si gode una vista bellissima sulle montagne e sul lago, davvero spettacolare in inverno, con le cime imbiancate.

sabato 25 aprile 2015

Buon 25 aprile

Sono così indietro coi post che forse vincerò il premio "Blogger più scarsa della storia".

Nell'attesa, buon 25 aprile!

martedì 17 febbraio 2015

Il berretto-gufo



Splendido schema trovato su Repeat Crafter Me, in inglese.

In realtà non sono stata tanto a vedere le misure, ho semplicemente seguito la grandezza della capoccia di mia figlia, facendolo anzi un po' più grande, così magari le dura anche per il prossimo inverno. 
Ovviamente mi sono presa qualche libertà, ma questa volta solo nell'abbinamento dei colori: per la parte superiore del berretto ho scelto un gomitolo con un mix di colori piuttosto che la tinta unita, in questo modo ho movimentato un po' la "tavolozza" e secondo me è venuto perfino più grazioso. Anche per la parte inferiore e i paraorecchie ho usato due colori invece che uno solo... ma solo perchè era finito il primo gomitolo! Lo sapevo che non sarei arrivata in fondo, ma ho pensato che con più colori sarebbe andato bene ugualmente. Infatti non mi sembra che stoni.


Grazie agli occhioni da gufo lo spasso è assicurato, sia che la gnoma mi guardi, sia che abbassi la testa, ci sono sempre queste due padelle che mi fissano. Oltrettutto, saranno gli occhi, saranno i paraorecchie, ma il cappellino ricorda in qualche modo la versione buffa e animalesca di un elmetto da aviatore con gli occhialoni. 

Insomma, questo berrettino ti mette le aaaaliiii... 



domenica 8 febbraio 2015

Tre gioielli

L'anno da poco trascorso per me è stato ricco di avvenimenti, ma mi ha catapultato in un tunnel spazio-temporale da cui sto uscendo solo in questo periodo. Esempio: mi sembra di vivere in questa casa da un paio di mesi, invece ci abito da più di un anno. Da ciò sia cosa che scrivere sul blog era, se non l'ultimo dei miei pensieri, l'ultima attività per cui riservavo tempo e forze... con scarsi risultati. Vediamo se riesco in parte a rimediare con piccole recensioni dei tre migliori libri che ho letto nel 2014. Nota bene: non libri usciti l'anno scorso, tutt'altro, sono vecchi come il bacucco, cioè quelli che in editoria si chiamano classici.

I dispiaceri del vero poliziotto di Roberto Bolaño: come sempre, Bolaño mi strega. L'ho preso in biblioteca senza nemmeno sbirciare la quarta di copertina ed era troppo tardi quando ho letto che questo libro è una sorta di prequel di 2666, che non ho mai letto (il giorno che trovo la forza psicologica di iniziarlo ve lo faccio sapere; il giorno che lo finisco, conoscendomi, mi ubriacherò per una settimana intera), ma scritto dopo il librone, quindi un prequel da leggere dopo. Ma si può smettere di leggere un libro che inizia con l'affermazione che la poesia è omosessuale e segue con l'elenco della particolare tipologia di omosessuale da abbinare ad ogni poeta? Puoi smettere senza scoprire se Leopardi è una checca o un frocio? Claro que no. Nel libro c'è tutto quello che ti aspetti da Bolaño: metaletteratura, pseudosaggi, pseudointellettuali, poeti strampalati, detective selvaggi, Barcellona, il Messico, corrispondenze non corrisposte, scatole cinesi, cuentos chinos e sentieri che non si biforcano. E che te ne fai di un finale, quando hai tutta questa roba?

Immagine rubata da bastardillasen.blogspot.it


L'Eternauta di Héctor German Oesterheld e Francisco Solano Lòpez: una neve mortale scende dal cielo. Quanti, fra i pochi che si trovavano in casa con le finestre chiuse, sopravviveranno, dovranno affrontare un innarrestabile nemico alieno. 
Era da tempo immemore che non mi avvicinavo ad un fumetto, ma ho trovato un'ottima occasione di ricominciare, visto che il mio compagno lo stava leggendo e ci sono due caratteristiche che mi costringono a cominciare un libro: essere un classico della letteratura latinoamericana e avere un incipit perfetto. 
Una storia spaventosamente attuale, la storia di chi combatte contro un nemico invisibile, di cui puoi solo uccidere gli schiavi già conquistati, sperando ad ogni nuovo incontro di trovarti faccia a faccia con chi comanda, ma trovando solo esseri che agiscono telecomandati da un lontano padrone che neppure loro mai hanno visto. Una storia che dietro al spara-spara nasconde la grande verità conosciuta da chi oggi e sempre si scontra con il Potere, come Oesterheld stesso, desaparecido nel 1977.

Piccolo mondo antico di Antonio Fogazzaro: era nell'elenco da un po', ma ho rimandato spesso l'inizio. Scema. Mi sono trovata fra le mani un libro quasi perfetto. Sembra essersi inventato il cinema, il Fogazzaro, perchè la sua narrazione di muove come una macchina da presa, che indugia sulle imbarcazioni che solcano le acque, placide o tormentose, del lago, sui bei monti della Valsolda, sulle stradine che collegano i paesi. Una macchina da presa che cattura i tic di uomini e donne di queste valli, l'adorabile laghée delle piccole preoccupazioni e l'italiano dei grandi rovelli, il loro modo di rapportarsi con gli altri e con i dominatori austriaci.
La vera sorpresa è stato il personaggio di Luisa. Lei fa parte di quel sparutissimo gruppo di personaggi femminili che nella storia della letteratura si identificano per la loro intelligenza. Non è umile e pia, non mette l'amore per il suo uomo prima di tutto, non si annulla nella maternità. Non è come un maschio vorrebbe che fosse la propria femmina, lei è una donna. Una donna che medita sulla propria spiritualità piuttosto che seguire bovinamente dogmi religiosi, che crede in ideali patriottici, che non si sottomette a nessuno, che crede nella Giustizia. Leggo nella prefazione che Fogazzaro voleva proprio contrapporre l'arida giustizia laica di Luisa alla feconda beatitudine del perdono cristiano del marito Franco. Per quanto mi riguarda, non ci siamo: Franco, semplicemente, non ha spina dorsale. E poco importa che dopo la morte di Ombretta la razionale Luisa perda quasi la ragione, mentre Franco rimanga forte nella sua fede, ormai sappiamo che la vera disperazione sta nella mancanza di elaborazione del lutto.



Un consiglio: prima, dopo, durante la lettura di Piccolo mondo antico visitate la villa Fogazzaro-Roi. L'anno scorso ho trascinato l'intera famiglia allargata e il mio pancione alla giornata del FAI che permetteva di visitare la villa gratuitamente. Mi hanno seguito con la scarsa convinzione di chi non vuol contraddire una donna incinta, sono usciti tutti innamorati di questo posto. Avrei anche volentieri fatto un resoconto della splendida visita, ma, come si diceva all'inizio, tempo e forze scarseggiavano. Mi rifarò alla prossima visita. 

martedì 20 gennaio 2015

Il rospo e la colomba

Tutte amano Frida. Tanto più amava la vita tanto più questa era bastarda con lei, ha avuto la forza di dipingere la fragilità e la spudoratezza di mostrare il dolore, ha dato voce alla femminilità. Tutte amano Frida.
Forse la mostra non mette in luce tutti gli aspetti della sua arte e della sua personalità, ma è comunque di grande interesse, se non altro perché le opere di Diego Rivera, principe consorte, hanno uguale spazio. Ma, un po' perché Frida è più glamour, un po' perché Rivera dà il meglio di sé nei murales, la Kahlo rimane la regina dell'esposizione. 

Un po' troppo didascaliche forse le sezioni della mostra. I pezzi forti di Kahlo sono nella sala intitolata Amore e morteDiego nei miei pensieri, splendido autoritratto che racchiude tutto quello che ti aspetti da lei: la messicanità, l'escamotage naif, l'amore per Diego, le lacrime e il barocco di una Virgen laica, e L'amoroso abbraccio dell'universo, la terra, io, Diego e il signor Xòlotl, in cui Frida richiama la cosmica protezione su di sé e su coloro che ama. 

Frida Kahlo, Autoritratto con treccia, 1941, olio su masonite, 
Collezione di Jacques & Natasha Gelman,Città del Messico, Messico
Immagine presa da www.fridakahlo.org
Nella sala dedicata al Surrealismo veniamo accolti dal video con i pochi frammenti rimasti di un progetto di Lola Alvarez Bravo in cui Kahlo avrebbe dovuto apparire come attrice. Ci viene mostrata una Frida bellissima, ma il giudizio è quello che ho per tutti i film surrealisti che non siano Un chen andalou: insopportabile.
Il resto della sala presenta alcuni disegni di Kahlo dal sapore surrealista come il bozzetto per il Ritratto di Luther Burbank, i cadaveri squisiti eseguiti con Lucienne Bloch e alcuni autoritratti, fra cui quello con treccia è il più particolare. Nella stessa sala anche disegni di Rivera di verdure e piante antropomorfe e Mandragola, due versioni di una fanciulla bianco-vestita con teschio in grembo.
Non so quanto abbia senso intitolare una sala Surrealismo: disegni molto più surrealisti, come quelli di Frida raffiguranti inquietanti, caotiche case con elementi antropomorfi, fanno bella mostra di sé in altre sale. Forse ha comunque più senso che chiamarne una Solitudine e nature morte, visto che è presente una sola natura morta. La solitudine invece è ben rappresentata da opere di diversi periodi: Autoritratto con cane itzcuintli del 1938 e l'Autoritratto con scimmie del 1943, in entrambi la presenza degli animaletti domestici di Frida, invece che attenuare, accentua quel senso di desolazione che ti spezza il cuore. Toccante l'Autoritratto con il ritratto di Diego sul petto e Maria tra le sopracciglia, la pennellata pastosa con spessi strati di colore per una delle ultime opere di Frida, dipinta sotto l'effetto degli antidolorifici.

Sebbene, come detto, la vera arte di Rivera si manifesti nei grandi murales, la mostra è riuscita a dare un'idea della sua opera in maniera più globale di quanto fatto con la Kahlo.
Sono presenti opere del periodo giovanile con alcuni quadri che vanno dal 1906 al 1919, molti dei quali sono di un cubismo così poco memorabile da essere quasi imbarazzante. C'è speranza per tutti, insomma.
Più interessanti i disegni dei viaggi a Venezia e Ravenna, con tanto di appunti sulla composizione delle opere d'arte che Diego ammirava; bello vedere l'occhio e il cervello del pittore in azione davanti ai maestri del passato.

Diego Rivera, Girasoli, 1943
immagine presa da Pallant House Gallery

La sala 5 è l'apoteosi di Rivera, con bozzetti e bozzettoni per i murales del 1926 circa e bellissimi quadri nei dintorni del '43, come il sottilmente inquietante Girasoli.
Per quanto mi riguarda il quadro più bello è America preispanica, creato per essere la copertina di Canto General di Pablo Neruda, è quasi un mural in piccolo formato, dallo stesso fascino del Mosè della Kahlo (purtroppo non in mostra), che ben rappresenta la bellezza della natura selvaggia e l'eroicità quotidiana dei popoli precolombiani attraverso le madri che lavorano la materia prima, i semi-nudi architetti di Machu Pichu e Chicen Itza e i loro operai, ma anche i terribili sacrifici umani.
Un video grande quando la parete mostra alcuni murales di Diego, da Detroit al Messico passando per San Francisco, tanto per non perdere di mira la monumentalità delle opere finite. Poche musse, questa è roba che va vista dal vero, non solo per gli ovvi motivi, ma perchè tutto intorno a te dovresti avere il Nuovo Mondo, spiace molto non uscire da lì e trovarsi in Messico.

C'è anche una sala dedicata a Rivera ritrattista. Ovvero ricche signore vestite di abiti tradizionali, la pochezza delle quali fa tristezza a decenni di distanza, nonostante la maestria di Diego. I quadri migliori della sala in realtà sono di Kahlo: il ritratto di Diego e quello di Marucha Lavin, contornata da foglie verdi brillanti e farfalle, e le cui decorazioni dell'abito hanno il tipico effetto "pixelato" del punto croce. Adoro queste innocenze di Frida. Interessante il confronto dello stesso soggetto dipinto da entrambi, ovvero i ritratti di Natasha Gelman, splendido quello di lei, meno riuscito quello di lui, con le calle bianche sullo sfondo (tanto per cambiare) e una composizione generale più appropriata a Tamara de Lempicka.

Foto presa da www.improvisedlife.com
Non solo di quadri e disegni si occupa l'esposizione, c'è anche una sala dedicata alle fotografie che ritraggono i Nostri, quasi un album di famiglia. Ma questa è una famiglia di gran classe, perché i fotografi si chiamano Nickolas Muray o Lola e Manuel Alvarez Bravo e l'unico video presente è un filmato muto in cui Trotsky legge qualcosa ad alta voce a Frida e Diego. Forse le foto più interessanti sono quelle fatte da Guillermo Kahlo, il padre di Frida che di mestiere faceva appunto il fotografo; alcune si trovano in tutti i libri, altre sono meno note.
La mostra finisce con una piccola esposizione degli abiti di Kahlo nella meravigliosa Cappella del Doge. Commovente il busto dove Frida aveva dipinto la falce e martello e un feto.
Da mal di denti il video di Yasumasa Morimura, artista che ha dedicato una sua performance alla Kahlo e ai suoi abiti. Filosoficamente ne penso tutto il bene possibile, in pratica ha messo a dura prova la mia infinita pazienza e farò finta che il problema sia solo la mancata comprensione del giapponese.

Menzione d'onore al bookshop, che, ispirandosi al Messico, è il più colorato nella storia dei bookshop. 

domenica 18 gennaio 2015

Farfalla al volo

Teatro pieno come un bibino: nemmeno un palco vuoto. Ogni volta che c'è Puccini, tutta Como esce di casa. E quindi mi inchino a questo amore fra la mia città di adozione e il grande compositore e, sebbene non avrei nemmeno il tempo per farlo, un mini-resoconto in poche righe lo scrivo lo stesso. 

Bravissima Cio-cio San, Cellia Costea, che deve aver sentito il disco della Callas fino allo svenimento, ma che ancora deve imparare a lasciarsi andare, che la Butterfly deve essere anche commovente. Meno bravo Pinkerton, Giuseppe Varano, ma anche lui avrà tempo per perfezionarsi. D'altronde mi sembra di molto migliorato il direttore Giampaolo Bisanti rispetto a quanto aveva diretto negli anni scorsi.   

Bella la regia di Giulio Ciabatti e le scene e i costumi di Pier Paolo Bisleri, abbastanza giapponesi da godere dell'eleganza del Sol Levante, abbastanza occidentali da mettere a proprio agio. Certo, le italiane possono imitare una giapponese dalla vita in giù, perchè non avranno mai quella camminata (mi' cognata è giappo, so de che parlo); pure lo zio Bonzo conciato da teatro kabuki forse mi era un filino esagerato; ma io ho apprezzato tutti gli atti, anche senza seppuku

Solo un appello. Io non ho problemi, io vedo tutto il palco, ma non mi fate cantare Un bel dì vedremo all'estrema sinistra del palco, pure piuttosto indietro; in un teatro all'italiana, metà della piccionaia è spacciata, sono venuti qui apposta e non vedono una beneamata. 

Finito. Veloce come un battito d'ali, ma non altrettanto delicato.

martedì 13 gennaio 2015

Tre opere in un mese: la Tosca a Genova

Fra pranzi luculliani e acciacchi di stagione, ovviamente non sono riuscita a scrivere il resoconto entro dicembre, però eccovelo.

Tosca, Carlo Felice, 28 dicembre 2014

ToscaMaria Guleghina
Mario CavaradossiRudy Park
ScarpiaCarlos Álvarez
AngelottiGiovanni Battista Parodi
SagrestanoClaudio Ottino
SpolettaEnrico Salsi
SciarroneDavide Mura
Un carceriereCristian Saitta
Un PastorelloFilippo Bogdanovic - Sebastiano Carbone

DirettoreStefano Ranzani
Regia e sceneDavide Livermore
CostumiGianluca Falaschi
Orchestra del Teatro Carlo Felice
Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del CoroPablo Assante
Coro di voci bianche del Teatro Carlo Felice
Maestro del coro di voci biancheGino Tanasini
Nuovo allestimento del Teatro Carlo Felice di Genova



Il trascinamento annuale dei miei genitori all'opera a questo giro prevede la Tosca! Una volta ero molto più aficionada di musical che di opera, quindi concedetemi il paragone: la Tosca è un po' come il Jesus Christ Superstar; funziona sempre. Ecco perchè ci porto chi melomane non è.
Entro in sala e... e... che odore c'è? sembra di entrare in chiesa... un'opera in odorama!??!?!! Ebbene si, sul palco, a sipario abbassato, sono presenti decine di candele e il naso le percepisce prima degli occhi. Entrare nella giusta atmosfera ancora prima che il sipario si alzi è sempre gradevole.

Anche l'occhio, però vuole la sua parte e non rimane deluso dalla regia e le scene di Davide Livermore. Nel primo atto sul fondale appare la cupola di S. Andrea della Valle (o, almeno, a me sembra proprio quella), che spesso si anima facendo muovere la schiera di santi e nuvole; la Maddalena a cui lavora Cavaradossi ha la bellezza della Penitente di Guido Reni; durante il Te Deum il fondale mostra un Gesù crocefisso che riappare durante la tortura di Mario, orribilmente photoshoppato con rivoli di sangue; a E lucevan le stelle fa da sfondo un bel quadro che mostra una Roma notturna e ottocentesca, che starebbe a bacio anche in un Rugantino. Insomma, iconograficamente c'è carne sul fuoco.

Per tutti e tre gli atti i protagonisti si muoveranno su una struttura inclinata, dall'aspetto vagamente escheriano, che ruotando offre diversi punti di vista dello spazio. La sensazione di precarietà che ne deriva è senza dubbio affascinante, ma le teste degli interpreti sono talvolta a rischio di spatasciarsi contro qualche spigolo e immagino che ci voglia molta concentrazione per cantare al meglio mentre si cerca di salvare l'osso del collo.

Foto rubata dalla pagina Facebook del teatro


Ma, se la struttura è scivolosa, la regia è solida. All'inizio del secondo atto Scarpia entra e, con eleganza, porge mantella e parrucca al suo lacchè. Tiro un sospiro di sollievo: a Como, un paio di anni fa, Scarpia, ugualmente imparruccato alla settecentesca, sbatteva la cofana sul tavolo in un momento di rabbia, in stile Benny Hill.
Più avanti vediamo portare Cavaradossi nella stanza dell'interrogatorio, ovvero nel lato posteriore della struttura inclinata. Per un attimo temo che, grazie alle giravolte della struttura in questione, si vedrà il Nostro ogni volta che canterà e mi inizio ad agitare perchè io aborro quando ti ritrovi a cantare sul palco qualcuno che dovrebbe far arrivare la sua voce da dietro le quinte; mi disturba profondamente. Ma anche questo timore è infondato, giustamente sentiremo i lamenti del bel Mario senza vederlo, così come deve essere, così come lo sente Tosca.

Avevo sperato di beccare Gregory Kunde che debuttava nel ruolo di Cavaradossi, avrei anche sperato di beccare Kunde cantare lo Zecchino d'oro dopo che l'anno scorso mi ero persa l'Otello (maledetta tosse bastarda), ma anche senza Kunde, sono uscita dal teatro più che soddisfatta.
Maria Guleghina è una Tosca perfetta. Era stato annunciato che si esibiva nonostante stesse male, ma non ha sbagliato una nota, non si è mai risparmiata, mai un momento di debolezza fino all'ultima scena. Unico neo i suoi parlati. Non amo molto questi tradizionali parlati (anche se così fan tutte, lo so...), la Guleghina poi deve credere la marcatura della erre come un effetto particolarmente verista: "il prrrrrrrrrrrrrrrrezzo!" E giuro che non ho esagerato. Vi lascio immaginare "tremava tutta Roma". Ma, con la stupenda interpretazione che ci ha regalato, le si perdona questo piccolo vezzo.
Rudy Park l'aveva visto a Como in un bellissimo Ernani dove era stato davvero bravo. Forse la sua voce non è ideale per Cavaradossi, ma comunque una buona interpretazione. Dal secondo atto in poi gli acuti sono stati deboli, temo che la Guleghina non fosse l'unica con la gola in fiamme, ma forse era l'unica con la tecnica per cantare alla perfezione comunque.