venerdì 26 dicembre 2014

Tre opere in un mese: Les Contes d'Hoffmann a Como

Les Contes d'Hoffmann, Teatro Sociale di Como, 21 dicembre 2014

HoffmannSebastian Ferrada
Lindorf / Coppelius / Dottor Miracle / DapertuttoAbramo Rosalen
Olympia / Antonia / GiuliettaLarissa Alice Wissel
NiklausseAlessia Nadin
Spalanzani / NathanaelRoberto Covatta
MadreNadija Petrenko
Crespel / LutherMariano Buccino
Andres / Cochenille / Frantz / PittichinaccioMatteo Falcier
Hermann / SchlemilVincenzo Nizzardo

DirettoreChristian Capocaccia
RegiaFrédéric Roels
SceneBruno de Lavenère
CostumiLionel Lesire
CoreografoSergio Simòn
Maestro del coroDiego Maccagnola
Coro del Circuito Lirico Lombardo
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano



Nel foyer, nei corridoi, fra le poltroncine, dai parapetti, un unico mormorio fra gli abbonati: "Questa è quella della Barcarola!". Con la B maiuscola, perchè è la barcarola per eccellenza. Come gli spettatori del Colosseo bramavano sangue, così quelli del Sociale di Como vogliono lei: la Barcarola.

Leggo in cartellone che questo pomeriggio le varie donne amate da Hoffmann saranno interpretate dalla stessa cantante (Larissa Alice Wissel, davvero molto brava), cosa che mi rende felice assai, preferisco di gran lunga le versioni dove lo stesso soprano è presente in tutti gli atti, mi sembra abbia più senso.

Si spengono le luci, la musica ha inizio, glu glu glu, nessuna Musa si presenta. Che fine ha fatto la Musa? Non lo so, io l'ho cercata, giuro che l'ho cercata, ma non si è presentata. E non dev'essere l'unico taglio che ha dovuto subire il personaggio, perchè se è vero che non conosco quest'opera alla perfezione, mi ricordavo Nicklausse come uno dei protagonisti, degna antitesi del baritono cattivone, non come qualcuno che c'è o non c'è è la stessa cosa.

Non tutti sono qui per la Barcarola, io, per esempio, sono qui per quella che in letteratura, all'opera, nel balletto, al cinema e ovunque altro è la mia preferita: l'automa. Olympia o Coppelia, chiamatela come vi pare, ma lei sempre amo, in qualunque forma d'arte.
Per quanto mi riguarda Olympia DEVE essere una bambolina, deve muoversi da bambolina e avere lo sguardo fisso di una bambolina. Una delicata, leziosa, scattante bambolina da carillon. In caso contrario perde di senso la sua canzone, che senso non ha se non quello di essere una splendida dimostrazione di meccanismo inceppato, una vera e propria canzone a manovella, per dirla con Capossela. Quando un vero automa, con la stessa pertubante perfezione di questi, potrà esibirsi come Olympia allora concederò che non si muova come un robot. Finchè è un umano a cantare Les oiseaux dans la charmille pretendo che renda palese l'artificialità del personaggio che interpreta. E indovinate? Qui non è così.

Immagine rubata dalla pagina Facebook del Teatro

Robot con il look di Lady Gaga appaiono i membri del coro, che qui si sono rifatti rispetto all'ultima volta. Nell'opera che necessita la verve di un'operetta il coro se l'è cavata discretamente, ha ballucchiato e in questo episodio in particolare si è cimentato nella delicata arte dell'imitazione di un robot e alcuni erano spigliati, altri sembravano più degli zombie... ma nel complesso bravi!
Per l'episodio di Olympia coro buono, solisti ottimi, regia deludente. Dov'era la mia bambolina?

Dopo la pausa, si riprende ed ecco le note di Belle nuit, ô nuit d'amour. Ma non doveva essere il terzo racconto? Ho una forma di smarrimento estremo, doveva essere il terzo racconto, che ci fa qui? CHE CI FA QUI? Mi sento come se avessi trovato la ciotola del cane dentro l'armadio: forse c'è una spiegazione razionale, ma non la trovo, quindi deve essere il mio cervello che non funziona. A un certo punto non resisto a questa sensazione di inadeguatezza e lemme lemme, odiandomi un po' ma convinta di salvare così la mia sanità mentale, tiro fuori lo smartphone e cerco su wikipedia. Ed in effetti non sono io folle, quello di Giulietta è il terzo episodio. Rimango nel dubbio. Dov'è il secondo racconto? Lo eliminano come la Musa? Lo mettono dopo? Perchè? L'ho scoperto più sotto.

Non so dirvi com'era l'episodio veneziano proprio a causa di questa sensazione orribile che mi ha pervaso. Ricordo che gli uomini del coro erano vestiti da Iene con la parrucca bianca (perchè siamo nel Settecento... ?!??) e le donne stavano sfilando (perchè siamo a Venezia... ?!??!????), poi basta, il vuoto. In compenso ho profondamente elaborato tutti i motivi per cui quello di Giulietta deve essere l'ultimo episodio:
  • perchè Hoffmann riesce a riavere la famosa chiave che Lindorf gli aveva sottratto. E uccidendo un altro uomo, per di più.
  • perchè è carino che Dapertutto sia effettivamente già stato dappertutto
  • perchè è l'episodio più fosco, senza siparietti, nè, esclusa la dolcezza della Barcarola, smancerie. Se l'amore per Olympia è condannato perchè lei è un'automa e l'amore per Antonia è condannato perchè è condannata lei stessa, l'amore per Giulietta è condannato perchè è lei che ha voluto, lei è la vera femme fatale che con coscienza porta l'uomo alla dannazione.
  • perchè è tanto bello che l'ultimo racconto finisca con la ripresa della Barcarola.

Immagine rubata dalla pagina Facebook del Teatro

Tempo che inizi il terzo atto e la mia mente è di nuovo qui. Tutti bravi anche nell'episodio di Antonia, in cui però Nicklausse è completamente assente, se non per gli ultimi istanti, in cui spunta fuori da non si sa dove per correre a chiamare un medico. D'altronde è stato un passante occasionale per tutta l'opera. Torna giusto in tempo perché il sipario si chiuda e lui/lei possa rimanere sul palco a cantare (perché arrivati a questo punto, finalmente canta!) accorate parole al Poeta.
Cercando il nome esatto del brano mi sono accorta che la maggior parte delle registrazioni di questo mondo mettono effettivamente prima Giulietta e poi Antonia; un tempo si usava così, ma conoscendo solo allestimenti moderni io ne ero completamente all'oscuro. Vorrà dire che cercherò su You Tube per colmare questa mia lacuna, ma lasciatemi dire che sono felice che ora si preferisca quello di Giulietta come racconto finale!

Torniamo nella taverna di Luther. Nel gran finale Nicklausse si spoglia dei panni che non ha mai vestito, come se non fosse la Musa che si scopre, ma il migliore amico di Hoffmann che gli si concede, effetto che non capisco se sia voluto o meno. Fine.

Bravi tutti, orchestra e cantanti. Menzione speciale per Abramo Rosalen, interprete del diabolico rivale di Hoffmann, e Matteo Falcier, che dall'aiutante di Spalanzani a il servo di Crespel, era presente in tutti e tre gli episodi restando sempre a proprio agio.

E ora, mancano solo due giorni alla Tosca di Genova, mi sa che dimenticherò il nostro amico Offenbach e le mie lacune molto presto... 

venerdì 12 dicembre 2014

Tre opere in un mese: Nabucco a Como

Con dovuto ritardo, altrimenti non sarei io.

Nabucodonosor, Teatro Sociale di Como, 5 dicembre 2014

NabuccoPaolo Gavanelli
AbigailleTiziana Caruso
ZaccariaEnrico Iori
IsmaeleGabriele Mangione
FenenaRaffaella Lupinacci
Gran Sacerdote di BeloAntonio Barbagallo
AbdalloGiuseppe Distefano
AnnaSharon Zhai
DirettoreMarcello Mottadelli
RegiaAndrea Cigni
SceneEmanuele Sinisi
CostumiSimona Morresi
Light designerFiammetta Baldiserri
Maestro del coroAntonio Greco
Coro del Circuito Lirico Lombardo
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano



Il Teatro Sociale è addobbato a festa, per domenica non ho preso impegni che c'è la Prima della Scala alla tv, ho un vestito nuovo e Broomhilde, la macchinina nuova, si guida che è una meraviglia. L'umore, insomma, è ottimo.

Non è il pienone della Prima a settembre, ma qui in galleria non c'è un buco libero: Verdi è Verdi e l'opera sua che tutti chiamano col nomignolo è un invito a nozze.
Si spengono le luci e parte l'ouverture. L'orchestra è stata chiaramente sostituita da una banda di paese che non ha avuto il tempo di provare, ma l'ottimo umore di qui sopra è innarrestabile, decido di prenderla con filosofia: da qui in poi si può solo migliorare.
Si apre il sipario e la vicenda NON è ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale, pericolo scampato, lo dicevo che siamo in fase di miglioramento.

Immagine rubata dalla pagina Facebook del Teatro

Enrico Iori non ingrana come Zaccaria, nè voce nè interpretazione rendono l'idea del patriarca;  Gabriele Mangione (Ismaele) ha uno stile retrò nel canto che ho trovato irritante; Raffaella Lupinacci (Fenena) non pervenuta. Lo so, avevo detto che si migliorava, ora arriva.

Buona l'interpretazione di Paolo Gavanelli (Nabucco). In tutta onestà, forse in altri teatri non mi avrebbe soddisfatto in pieno, ma qui, abituata a sentire e vedere pischelli che non hanno (ancora) nel palcoscenico il proprio habitat naturale, la performance di Gavanelli spicca: è bello vedere sul palco qualcuno che sul palco ci sa stare. Mai una voce era arrivata così piena e sicura alla mia poltroncina della quinta galleria.
Chapeau alla Abigaille di Tiziana Caruso con make up vampiresco e di piume corvine ammantata. Parte impervia, regina fra le parti impervie, ma se l'è portata a casa, brava, bravissima!
Non a caso la parte migliore della recita è stata la scena del Donna chi sei? e seguito. Per me si potrebbe continuare così per tutta l'opera, solo Gavanelli e Caruso in scena, non sento la mancanza degli altri.

Regia di Andrea Cigni deludente: qui a Como avevo già visto uno splendido Ernani, traboccante di oro e maestosità, speravo in qualcosa di meglio per questo Nabucco. Sul palco ci sono fuoco, esplosioni e zampilli che manco a un concerto dei Kiss, ma, almeno dal mio punto di vista loggionesco, non che entusiasmino. E Cigni è deludente proprio lì dove era stato magistrale nell'Ernani: gestire il coro. Peccato capitale per il Nabucco, il coro vaga senza una meta precisa, si muove con la stessa placida obbedienza di una mandria di bovini, gira in tondo nella parte terza del primo atto, senza convinzione cammina verso il pubblico nei momenti clou. Il maledetto non ha fratelli? il coro compatto si muove verso Ismaele e il proscenio. Và pensiero? il coro compatto, con fiaccola accesa, si muove verso il proscenio

Il coro, difficile giudicare il coro. Vocalmente nel compito a casa si piglia la sufficienza, ma pathos zero. Tranquilli, il Và pensiero è stato il brano più applaudito, ma è come Vita Spericolata o Ruby Tuesday: non importa come viene eseguito, l'importante è che ci sia.

Menzione speciale per il tizio in platea che, all'ennesimo rumorino da criceto-nella-ruota che si sentiva durante i movimenti delle scenegrafie ha esclamato: "ma potrebbero dare dell'olio a quel coso!". Ilarità generale per tutto lo spettacolo, grazie di esistere. 

E ora lasciatemi barcarolare verso Les Contes d'Hoffmann